Palermo

Irene
Palermo

Offerta gastronomica

Passeggiando lungo le strade di alcuni rioni di Palermo, si ha l’impressione di stare in uno dei suk di una qualsiasi città musulmana. Alcuni mercati sono stati realizzati durante la dominazione araba, ed ancora oggi, si possono notare l’aspetto, le consuetudini del vendere e del comprare, i colori, gli odori, l’usanza di sommergere strade e piazze con banchi, cesti, tendoni variopinti, tipico, appunto, dei tradizionali mercati nordafricani. I mercati di Palermo rappresentano il luogo ideale per un autentico tuffo nel passato e nelle tradizioni più antiche del popolo palermitano. I mercati storici di Palermo sono dei veri e propri monumenti viventi! Non si può visitare questa splendida città senza ammirare questi spettacolari e pittoreschi mercati. Mentre ci si addentra nelle viscere di questi mercati si viene costantemente accompagnati dai richiami fatti ad alta voce, e spesso in modo piuttosto colorito, dai vari ambulanti per invitare a comprare la propria merce. Questo pittoresco invito viene chiamato “abbanniata” in dialetto palermitano. Ed in effetti parte dello spettacolo è anche quello di ascoltare questa “musica folkloristica” tipica dei mercati storici. In questi mercati storici si può acquistare di tutto un po’, ma soprattutto frutta, verdura, pesce e carne. I più importanti mercati storici di Palermo sono: Ballarò, la Vucciria, il Capo, il Borgo Vecchio.  La Vucciria si estende lungo la via Argenteria sino alla piazza Garraffello. Era chiamata, anticamente, la “Bucceria grande” per distinguerla dagli altri mercati di minore importanza. Fu, infatti, la più importante “piazza di grascia”, ovvero mercato di alimentari della vecchia Palermo. La parola “Bucceria” deriva dal francese “Boucherie”, che significa “macelleria”, poiché il mercato, inizialmente fu destinato alla vendita della carne, ed a Palermo, tale termine divenne anche sinonimo di baccano, sicuramente per il forte vociare che si fa solitamente al mercato. Nel corso dei secoli la Vucciria venne più volte ampliata e modificata e nel 1783 il vicerè Caracciolo volle dare un’organica e decorosa sistemazione alla piazza, cuore del mercato, che fu chiamata piazza Caracciolo. Intorno alla piazza furono costruiti dei portici in modo da formare una loggia quadrata che ospitava i banchi di vendita. Al centro fu collocata una fontana con quattro leoncini che versano l’acqua disposti attorno ad un piccolo obelisco. Resisterà nella sua originaria forma quadrata con porticati per qualche secolo; cominciano poi le manomissioni e agli inizi di questo secolo, quando venne costruita la via Roma, il quartiere venne ridisegnato e la piazza ristretta. La Vucciria, oggi, è un mercato dove si vende di tutto ed un luogo dove si può provare lo street food palermitano.
95 persone del luogo consigliano
Vucciria
Piazza Caracciolo
95 persone del luogo consigliano
Passeggiando lungo le strade di alcuni rioni di Palermo, si ha l’impressione di stare in uno dei suk di una qualsiasi città musulmana. Alcuni mercati sono stati realizzati durante la dominazione araba, ed ancora oggi, si possono notare l’aspetto, le consuetudini del vendere e del comprare, i colori, gli odori, l’usanza di sommergere strade e piazze con banchi, cesti, tendoni variopinti, tipico, appunto, dei tradizionali mercati nordafricani. I mercati di Palermo rappresentano il luogo ideale per un autentico tuffo nel passato e nelle tradizioni più antiche del popolo palermitano. I mercati storici di Palermo sono dei veri e propri monumenti viventi! Non si può visitare questa splendida città senza ammirare questi spettacolari e pittoreschi mercati. Mentre ci si addentra nelle viscere di questi mercati si viene costantemente accompagnati dai richiami fatti ad alta voce, e spesso in modo piuttosto colorito, dai vari ambulanti per invitare a comprare la propria merce. Questo pittoresco invito viene chiamato “abbanniata” in dialetto palermitano. Ed in effetti parte dello spettacolo è anche quello di ascoltare questa “musica folkloristica” tipica dei mercati storici. In questi mercati storici si può acquistare di tutto un po’, ma soprattutto frutta, verdura, pesce e carne. I più importanti mercati storici di Palermo sono: Ballarò, la Vucciria, il Capo, il Borgo Vecchio.  La Vucciria si estende lungo la via Argenteria sino alla piazza Garraffello. Era chiamata, anticamente, la “Bucceria grande” per distinguerla dagli altri mercati di minore importanza. Fu, infatti, la più importante “piazza di grascia”, ovvero mercato di alimentari della vecchia Palermo. La parola “Bucceria” deriva dal francese “Boucherie”, che significa “macelleria”, poiché il mercato, inizialmente fu destinato alla vendita della carne, ed a Palermo, tale termine divenne anche sinonimo di baccano, sicuramente per il forte vociare che si fa solitamente al mercato. Nel corso dei secoli la Vucciria venne più volte ampliata e modificata e nel 1783 il vicerè Caracciolo volle dare un’organica e decorosa sistemazione alla piazza, cuore del mercato, che fu chiamata piazza Caracciolo. Intorno alla piazza furono costruiti dei portici in modo da formare una loggia quadrata che ospitava i banchi di vendita. Al centro fu collocata una fontana con quattro leoncini che versano l’acqua disposti attorno ad un piccolo obelisco. Resisterà nella sua originaria forma quadrata con porticati per qualche secolo; cominciano poi le manomissioni e agli inizi di questo secolo, quando venne costruita la via Roma, il quartiere venne ridisegnato e la piazza ristretta. La Vucciria, oggi, è un mercato dove si vende di tutto ed un luogo dove si può provare lo street food palermitano.
La storica torrefazione Ideal Caffè Stagnitta di Vincenza Stagnitta, nasce nel lontano 1922 a Palermo. Giunta oggi alla quarta generazione di maestri torrefattori, l'antica azienda siciliana offre un’ampia e molteplice varietà di prodotti di alta qualità, pensati, elaborati e realizzati secondo quelle stesse antiche tradizioni che hanno reso Ideal Caffè Stagnitta un indubbio e storico emblema della produzione di caffè a Palermo e non solo. L’azienda, acquistando il chicchi nelle zone d’eccellenza mondiale e selezionando solo le migliori qualità di caffè crudi, si dedica alla creazione artigianale di un’ampia varietà di pregiate miscele, affinchè ciascuna di queste possa rendersi adatta e gradibile a gusti ed esigenze differenti; Miscela Bar, la stimata Miscela Arabica 100% o ancora la Miscela Decaffeinato che conserva perfettamente il gusto, l’aroma e tutte le preziose qualità del caffè tradizionale. Tali prodotti sono acquistabili anche in formato cialda e capsula. Lo storico punto vendita sito nella Discesa dei Giudici, nel cuore della Palermo antica, offre la possibilità di acquistare il caffè appena tostato, di assaporarne l’essenza dell’inconfondibile aroma.
25 persone del luogo consigliano
Ideal Coffee Stagnitta Vincenza Stagnitta s.a.s.
42 Discesa dei Giudici
25 persone del luogo consigliano
La storica torrefazione Ideal Caffè Stagnitta di Vincenza Stagnitta, nasce nel lontano 1922 a Palermo. Giunta oggi alla quarta generazione di maestri torrefattori, l'antica azienda siciliana offre un’ampia e molteplice varietà di prodotti di alta qualità, pensati, elaborati e realizzati secondo quelle stesse antiche tradizioni che hanno reso Ideal Caffè Stagnitta un indubbio e storico emblema della produzione di caffè a Palermo e non solo. L’azienda, acquistando il chicchi nelle zone d’eccellenza mondiale e selezionando solo le migliori qualità di caffè crudi, si dedica alla creazione artigianale di un’ampia varietà di pregiate miscele, affinchè ciascuna di queste possa rendersi adatta e gradibile a gusti ed esigenze differenti; Miscela Bar, la stimata Miscela Arabica 100% o ancora la Miscela Decaffeinato che conserva perfettamente il gusto, l’aroma e tutte le preziose qualità del caffè tradizionale. Tali prodotti sono acquistabili anche in formato cialda e capsula. Lo storico punto vendita sito nella Discesa dei Giudici, nel cuore della Palermo antica, offre la possibilità di acquistare il caffè appena tostato, di assaporarne l’essenza dell’inconfondibile aroma.
Un ambiente contemporaneo ad un passo dal Teatro Massimo. Prodotti tipici, salumi e gustosissimi panini che vanno oltre il classico pane e panelle. Piazza Olivella, 4, 90133 Palermo PA
93 persone del luogo consigliano
FUD
4 Piazza Olivella
93 persone del luogo consigliano
Un ambiente contemporaneo ad un passo dal Teatro Massimo. Prodotti tipici, salumi e gustosissimi panini che vanno oltre il classico pane e panelle. Piazza Olivella, 4, 90133 Palermo PA
18 persone del luogo consigliano
Funnaco PizzaLab
19 Via Pantelleria
18 persone del luogo consigliano
56 persone del luogo consigliano
Ke Palle
270 Via Maqueda
56 persone del luogo consigliano
175 persone del luogo consigliano
Ferro di Cavallo
20 Via Venezia
175 persone del luogo consigliano
28 persone del luogo consigliano
Passami ù coppu
195 Via Roma
28 persone del luogo consigliano
77 persone del luogo consigliano
Buatta Cucina Popolana
176 Via Vittorio Emanuele
77 persone del luogo consigliano
49 persone del luogo consigliano
Moltivolti
21 Via Giuseppe Mario Puglia
49 persone del luogo consigliano
110 persone del luogo consigliano
La Cala
Via Cala
110 persone del luogo consigliano
61 persone del luogo consigliano
Calamida
Via Cala
61 persone del luogo consigliano
212 persone del luogo consigliano
Antica Focacceria San Francesco
58 Via Alessandro Paternostro
212 persone del luogo consigliano
147 persone del luogo consigliano
'Nni Franco U'Vastiddaru
102 Via Vittorio Emanuele
147 persone del luogo consigliano
30 persone del luogo consigliano
Ferramenta
8 Piazza Giovanni Meli
30 persone del luogo consigliano
Ciurma Palermo Maqueda
175 persone del luogo consigliano
Bisso Bistrot
172A Via Maqueda
175 persone del luogo consigliano
Caddia condivisioni culinarie
121 persone del luogo consigliano
Osteria Mangia e Bevi
18 L.go dei Cavalieri di Malta
121 persone del luogo consigliano
Fud Bocs
17 persone del luogo consigliano
Molo Sant'Erasmo - Trattoria sul Mare
Caletta Sant'Erasmo
17 persone del luogo consigliano
90 persone del luogo consigliano
Osteria Ballarò
25 Via Calascibetta
90 persone del luogo consigliano
"I segreti del chiostro" è un progetto di riscoperta e valorizzazione delle antiche tradizioni della pasticceria conventuale: un'importante eredità materiale che non può andare perduta e che bisogna tramandare alle generazioni future. La spezieria o dolceria di Santa Caterina era il luogo del monastero preposto alla realizzazione di biscotti, pasticciotti ripieni, frittelle, conserve e così via. La vendita di dolci rappresentava una fonte di reddito importante per la sopravvivenza del monastero. Ingresso libero e gratuito da piazza Bellini visitabile tutti i giorni dalle 10,00 alle ore 18,00
La Dolceria di Santa Caterina
"I segreti del chiostro" è un progetto di riscoperta e valorizzazione delle antiche tradizioni della pasticceria conventuale: un'importante eredità materiale che non può andare perduta e che bisogna tramandare alle generazioni future. La spezieria o dolceria di Santa Caterina era il luogo del monastero preposto alla realizzazione di biscotti, pasticciotti ripieni, frittelle, conserve e così via. La vendita di dolci rappresentava una fonte di reddito importante per la sopravvivenza del monastero. Ingresso libero e gratuito da piazza Bellini visitabile tutti i giorni dalle 10,00 alle ore 18,00
PortaCarbone

Visite turistiche

La piazza dei Quattro Canti di Palermo non è solo uno degli scorci più belli della città. È un condensato della sua storia antica e moderna e rappresenta il punto di partenza ideale per conoscere le origini del capoluogo siciliano e dei suoi quartieri più antichi. È anche nota come Piazza Villena (o Vigliena), come Ottagono del Sole, come Teatro del Sole e come Teatro della Città, ma per tutti i palermitani è solo i Quattro Canti. La piazza è nata all’incrocio tra quelle che sono le due strade centrali di Palermo: da un lato Via Maqueda e dall’altro Corso Vittorio Emanuele. Ne è nata una piazza ottagonale, impreziosita nel Seicento da sculture e decorazioni riportate sulle facciate dei quattro palazzi ai lati della piazza. I quattro cantoni raccontano molto della storia di Palermo. Su ogni facciata ci sono quattro elementi principali: una fontana che rappresenta uno dei fiumi che attraversavano anticamente la città; un’allegoria che rappresenta una delle stagioni; la statua di uno dei re spagnoli e, in cima, la statua di una delle sante protettrici di Palermo, ciascuna posta a protezione di un mandamento. Quattro Canti sono conosciuti anche come Teatro del Sole. L’appellativo ha una motivazione architettonica, dato che l’esposizione dei palazzi fa sì che almeno una facciata sia sempre illuminata dal sole, durante tutto l’anno. Un altro nome con il quale i palermitani chiamano questa piazza così originale è Teatro della Città. Il motivo è tanto semplice quanto affascinante: questo è il luogo che nei secoli passati ospitava gli avvenimenti più importanti, dalle feste alle esecuzioni capitali. Dai Quattro Canti si aprono quattro mandamenti, i quartieri storici di Palermo, ciascuno protetto da una delle sante palermitane. C’è il mandamento dell’Albergheria, anche detto quartiere del Palazzo Reale, che conserva il nucleo più antico della città. C’è poi il mandamento del Capo, che ospita un mercato tradizionale da non perdere. Anche nel mandamento della Loggia (anche detto di Castellammare) c’è un mercato coloratissimo e caratteristico: quello di Vucciria. Il quarto mandamento è quello dei Tribunali, che spesso i palermitani chiamano con il nome arabo di Kalsa.
344 persone del luogo consigliano
Quattro Canti
Via Maqueda
344 persone del luogo consigliano
La piazza dei Quattro Canti di Palermo non è solo uno degli scorci più belli della città. È un condensato della sua storia antica e moderna e rappresenta il punto di partenza ideale per conoscere le origini del capoluogo siciliano e dei suoi quartieri più antichi. È anche nota come Piazza Villena (o Vigliena), come Ottagono del Sole, come Teatro del Sole e come Teatro della Città, ma per tutti i palermitani è solo i Quattro Canti. La piazza è nata all’incrocio tra quelle che sono le due strade centrali di Palermo: da un lato Via Maqueda e dall’altro Corso Vittorio Emanuele. Ne è nata una piazza ottagonale, impreziosita nel Seicento da sculture e decorazioni riportate sulle facciate dei quattro palazzi ai lati della piazza. I quattro cantoni raccontano molto della storia di Palermo. Su ogni facciata ci sono quattro elementi principali: una fontana che rappresenta uno dei fiumi che attraversavano anticamente la città; un’allegoria che rappresenta una delle stagioni; la statua di uno dei re spagnoli e, in cima, la statua di una delle sante protettrici di Palermo, ciascuna posta a protezione di un mandamento. Quattro Canti sono conosciuti anche come Teatro del Sole. L’appellativo ha una motivazione architettonica, dato che l’esposizione dei palazzi fa sì che almeno una facciata sia sempre illuminata dal sole, durante tutto l’anno. Un altro nome con il quale i palermitani chiamano questa piazza così originale è Teatro della Città. Il motivo è tanto semplice quanto affascinante: questo è il luogo che nei secoli passati ospitava gli avvenimenti più importanti, dalle feste alle esecuzioni capitali. Dai Quattro Canti si aprono quattro mandamenti, i quartieri storici di Palermo, ciascuno protetto da una delle sante palermitane. C’è il mandamento dell’Albergheria, anche detto quartiere del Palazzo Reale, che conserva il nucleo più antico della città. C’è poi il mandamento del Capo, che ospita un mercato tradizionale da non perdere. Anche nel mandamento della Loggia (anche detto di Castellammare) c’è un mercato coloratissimo e caratteristico: quello di Vucciria. Il quarto mandamento è quello dei Tribunali, che spesso i palermitani chiamano con il nome arabo di Kalsa.
La cattedrale di Palermo ha una storia molto antica e complessa e fa parte del patrimonio arabo-normanno e dell’omonimo percorso che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell’umanità. LA STORIA Attorno al 1170, durante il regno di Guglielmo II, l’arcivescovo di Palermo l’inglese Walter Off the Mill, dalla tradizione ricordato col nome di Gualtiero Affamilio, iniziò la costruzione di un nuovo Duomo. Si trattò in realtà della ricostruzione di una preesistente antica cattedrale gravemente danneggiata dal terremoto del 1169. La Cattedrale gualteriana cronologicamente costituiva la terza delle chiese succedutesi nel sito; in questo luogo infatti sorgeva, già in età paleocristiana (IV secolo), una basilica distrutta intorno alla metà del V secolo durante le persecuzioni vandaliche, sulle cui rovine fu costruita dal vescovo Vittore e per volontà di San Gregorio Magno nel 590, la “Sanctae Mariae Basilica”, consacrata nell’anno 604. Durante l’occupazione saracena nel IX secolo, la chiesa venne ristrutturata ed ampliata per essere trasformata in una grande moschea. Con l’avvento dei normanni la chiesa fu restituita all’originale culto cristiano (1072) e reintegrato il vescovo Nicodemo che, in clandestinità, durante la dominazione araba aveva continuato ad esercitare il culto cristiano. Il progetto edilizio dell’arcivescovo era molto ambizioso, la sua realizzazione richiedeva ingenti risorse, e la tradizione popolare spiega le possibilità economiche dell’Offamilio con il ritrovamento di un mitico "gran tesoro" fuori le mura della città, tesoro che servì per la costruzione della chiesa e del monastero cistercense di Santo Spirito ed il cui rimanente fu speso per la nuova “Majuri Ecclesia” palermitana. L'ARCHITETTURA Opera grandiosa, l’originaria costruzione gualteriana si sviluppava su un impianto basilicale suddiviso in tre navate, innestato ad un “santuario” costituito dall’assemblaggio del transetto con un corpo a tre absidi, di cui quella centrale di dimensioni maggiori. L’impianto era a croce latina e presentava una teoria di dieci archi a sesto acuto rette da gruppi di quattro colonne di granito egizio, provenienti da costruzioni di età classica (probabilmente ricavati dal materiale di spoglio dell’antico tempio nicodemiano) per ognuno dei lati della navata maggiore, più un gruppo di colonne binate dello stesso ordine, alle due estremità. Venti finestre bifore per lato illuminavano la navata maggiore e altrettante le navate laterali. Il coro riceveva luce attraverso le arcate del “Cleristorio”, loggiato architettonico di origine nordico, che si apriva in alto nelle volte del presbiterio. Il tetto della navata maggiore era ligneo e strutturato a capriate, “riccamente decorato e sorretto da diciannove travi dipinte” (Mongitore). In asse alla navata centrale era la porta maggiore ed in asse alle navate minori erano le due porte laterali, aperte come la prima nel muro di prospetto occidentale, sull’antica “discesa della Madre Chiesa”, l’odierna via Matteo Bonello. Altre due porte di accesso alla chiesa erano aperte nei muri d’ambito, una a mezzogiorno e l’altra a settentrione. Il sacro edificio, consacrato nel 1185, in onore di Maria Santissima Assunta, era ancora incompiuto alla morte del suo committente (e probabile architetto), avvenuta nel 1190, appena un anno dopo di quella del grande re Guglielmo II. La morte impedì all’arcivescovo la completa realizzazione del suo grandioso progetto, ma è probabile che anche i mezzi finanziari di cui disponeva non furono sufficienti. Fin dalle sue origini, la Cattedrale di Palermo ebbe funzioni di culto e di fortezza, e anche quella di tempio funerario riservato ai re, alle loro famiglie e agli arcivescovi. Furono infatti riservati a tal fine due spazi simmetrici nel “santuario” ai lati del coro. La Cattedrale palermitana, la cui storia riflette e sintetizza quella della città, ha subito, attraverso i secoli, continui rimaneggiamenti, restauri, aggiunte e modifiche, di cui talune a volte discutibili. Alla prima metà del XV secolo, risale il prezioso portico della facciata meridionale, mirabile manufatto architettonico-scultoreo del maestro della fabbriceria del Duomo, il “Magister Marammae” Antonio Gambara. Il portico, ritenuto un grande capolavoro dell’arte siciliana, rimarca fortemente i caratteri stilistici dell’architettura catalana in gotico fiorito.Le tre arcate ogivali, di forma arabeggiante, fiancheggiate da due torri laterali, sono sovrastate da un grande timpano, inquadrato da una fascia decorativa di elementi scultorei che raffigurano animali in movimento, figure vegetali e antropomorfe "l'albero della vita". Sotto il portico, si trovano bassorilievi di grande interesse storico, che celebrano l’uno l’incoronazione di Vittorio Amedeo II di Savoia, l’altro quella di Carlo III di Borbone, avvenute entrambi nel Duomo palermitano. Nel 1466 l’arcivescovo Nicola Puxades arricchì il duomo di un pregiatissimo coro ligneo intagliato fatto di 78 fastosi stalli corali, in stile gotico catalano. Nel XVI secolo si volle ornare l’abside maggiore della chiesa con una grande tribuna marmorea, della cui esecuzione fu incaricato il più grande scultore siciliano del Cinquecento, Antonello Gagini. La famosa tribuna, che richiese più di mezzo secolo di lavoro (la terminarono i figli di Antonello), conteneva in due ordini di nicchie 47 statue di santi ed era sovrastata dalla figura del Padre Eterno tra una gloria di Angeli . Opera grandiosa e di grande ricchezza artistica, la tribuna del Gagini  pur col suo carattere discordante con quello dell’antica cattedrale gualteriana, era per essa altamente decorativa, anche se mancava di un criterio unificatore. La sua sciagurata distruzione rientra nell’opera di rinnovamento della Cattedrale avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo (la maggior parte delle sue statue furono sistemate fuori dal tempio a coronamento delle mura esterne). La decorazione esterna della chiesa fu compiuta in tempi diversi, compresa la costruzione degli ordini superiori delle quattro torri angolari scalari, del prospetto occidentale e ancora della torre campanaria attuale (costruita in stile neogotico nel 1805 su progetto di Emanuele Palazzotto). Nei continui tentativi di adeguare l’antico edificio allo stile architettonico dei tempi, nel 1767 don Ferdinando Fuga, regio ingegnere alla corte dei Borboni, su commissione dell’arcivescovo Filangeri, elaborò un grandioso progetto di totale trasformazione e ammodernamento della chiesa. Accantonato per molti anni, il progetto fu ripreso e affidato alla direzione degli architetti Giuseppe Venanzio Marvuglia e Salvatore Attinelli, che vi lavorarono dal 1781 al 1801. Questi lavori comportarono la cancellazione di almeno tre quarti della primitiva architettura: gli interni dell’antica fabbrica furono totalmente riconfigurati, vennero smembrati i gruppi di colonne tetrastili, per fare posto ad una severa sequenza di grandi pilastroni intercalati da archeggiature a tutto sesto della più severa concezione neoclassica. Profonde alterazioni subirono le navate, sia quella centrale che quelle laterali. La trasformazione più evidente riguardò l’area presbiteriale, modificando nelle proporzioni l’originale “titulo” (coro) ed “antititulo” dell’antica basilica gualteriana. Il coro modificato fu prolungato fino all’abside maggiore, si ricostruì il transetto e nel contempo fu innalzata una solenne cupola neoclassica, la cui altezza doveva sovrastare tutte le altre della città. La Basilica normanna venne pesantemente deturpata e si trasformò in un’austera chiesa della controriforma, abolendo così ogni ricordo di quella che fu la più grande delle Cattedrali normanne di Sicilia. Anche l’esterno subì delle trasformazioni, in analogia alla riconfigurazione dei volumi originari dell’interno, mantenendo comunque sempre una impronta non priva di raffinatezze architettoniche. La decorazione esterna originaria, caratterizzata da una ricca decorazione a tarsie bicrome (in cui la pietra chiara è alternata con pietra lavica) venne in parte occultata: la parte absidale del prospetto orientale, è quella più originale (XII secolo), presenta una decorazione ad intreccio di archi ciechi, a tarsia lavica, con motivi geometrici che si intersecano dando vita al tipico disegno a doppia archeggiatura, analoghi motivi ornamentali si ritrovano parzialmente anche nelle absidi del Duomo di Monreale. Del suo attuale aspetto, assieme al portico del fronte meridionale, questa è la parte della Cattedrale più suggestiva, di più elevato fascino architettonico e che colpisce più il visitatore. Tantissime e pregevoli sono le opere d'arte  che si conservano nel Duomo, soprattutto del periodo rinascimentale. Tra le tante preziose testimonianze d’arte  oggi esistenti nel tempio, si devono ricordare la cappella del Sacramento, con un prezioso ciborio secentesco in lapislazzuli, l'altare del Crocifisso  in cui si venera un antichissimo simulacro di Cristo, di grande intensità drammatica, dono di Manfredi Chiaramonte nel XIV secolo, le acquasantiere della navata centrale opere di Domenico Gagini e Giuseppe Spatafora, un fonte battesimale di forma ottagonale, opera degli scultori Filippo e Gaetano Pennino,  la Madonna Libera Inferni, opera di immateriale bellezza di Francesco Laurana e tantissime altre opere di grandi artisti. Infine la famosa cappella di Santa Rosalia, luogo di venerazione per i palermitani, posta nell’abside minore del transetto di destra, che conserva i resti mortali della Santa Patrona della città racchiuse in una preziosa urna d’argento, pregevolissimo lavoro di abili artisti siciliani del seicento su disegno di Mariano Smiriglio. Le statue della tribuna del Gagini, che erano state lungo tempo all’esterno, alla fine dell’ultima guerra, sono state riportate nell’interno e addossate ai pilastri della navata maggiore. Occorre inoltre, far cenno sia del tesoro, ricco di preziosi paramenti e suppellettili, argenti sacri e paliotti d’altare, i cui pezzi di maggiore interesse sono la corona ed i gioielli tratti dal sepolcro di Costanza D'Aragona, sia della cripta (che secondo molti studiosi appartiene all’antica fabbrica nicodemiana), ricca di antichi sarcofagi di cui alcuni paleo-cristiani. Posti in un angolo della Cattedrale, a sinistra dell’ingresso del portico meridionale, troviamo gli avelli regali, che originariamente, come già accennato, erano situati nel coro. Caratterizzati da una semplicità grandiosa e solenne i sepolcri dei monarchi siciliani sono una delle maggiori attrattive per chi visita la Cattedrale. Nel primo vano troviamo la tomba dell’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen realizzata in porfido massiccio e baldacchino sempre in porfido a forma di tempio. Simile alla prima è la tomba della moglie, l’imperatrice Costanza d’Altavilla, mentre il baldacchino è in marmo bianco e presenta una decorazione musiva con tessere d’oro: incassata nella parete di fondo della cappella troviamo il sarcofago in marmo bianco di epoca romana, dell’imperatrice Costanza d’Aragona, figlia di Alfonso II d’Aragona e prima moglie di Federico II, nel cui fronte è scolpita una piacevole scena di caccia. Nel secondo vano si trova il monumento sepolcrale del grande Federico II, tutto in porfido rosso appoggiato su un basamento formato da due coppie di leoni che sostengono l’urna nella curva dei loro dorsi: il sarcofago di Federico reca scolpiti sul coperchio, dei tondi dove sono rappresentati i quattro evangelisti, il Redentore e una Madonna con Bambino. Il sarcofago contiene altri due corpi, quello di Pietro III d’Aragona e quello di una giovane donna la cui identità è ancora avvolta nel mistero (forse la nipote Beatrice, figlia di Manfredi). Dietro la tomba di Federico si trova il sarcofago di Ruggero II, primo re di Sicilia, costruito in lastre di porfido squadrate sostenuto da telamoni scolpiti in marmo bianco, è coperto da un baldacchino marmoreo con decorazione musiva, molto simile a quello della figlia Costanza d’Altavilla: nella parete di sinistra che delimita la cappella con la tomba di Federico, troviamo il sarcofago di Guglielmo d’Aragona duca di Atene e figlio di Federico III d’Aragona. Due dei sarcofagi di porfido sono quelli che re Ruggero II fece sistemare nel Duomo di Cefalù per accogliere le sue spoglie e quelle del suo successore. Il nipote, l’imperatore Federico II, non rispettando le volontà del nonno, con un atto di prepotenza nel 1215 li fece traslare nella Cattedrale di Palermo, dove accolsero le salme dei suoi genitori, Enrico VI e Costanza d’Altavilla. Al sepolcro di Federico provvide il figlio Manfredi. Alcuni studiosi sostengono invece, che il sarcofago di Federico sia uno dei due “cefaludensi” e che l’altro sia quello di Enrico. Prima di concludere questo sguardo sulla Cattedrale di Palermo, occorre ricordare che nella sua lunga e tormentata vita, la nostra “Chiesa Madre” è stata silenziosa testimone della vita del popolo palermitano e anche di tantissime vicende storiche. Oggi più che un monumento, rappresenta una preziosa testimonianza di espressioni artistiche e architettoniche diverse, e visitarla è come sfogliare della pagine di storia e di arte. La Cattedrale di Palermo fa parte del percorso arabo-normanno PATRIMONIO MONDIALE DELL'UNESCO. Orario Sante Messe: Dal lunedì al sabato ore 7:15, 18:00. Domenica e festivi ore 9:00, 10:00, 11:00, 18:00 Apertura al pubblico Cattedrale: Dal lunedì al sabato dalle ore 7:00 alle ore 19:00 Domenica e festivi dalle ore 8:00 alle ore 13:00 e dalle ore 16:00 alle ore 19:00 ingresso libero Apertura al pubblico Area monumentale (Tombe reali, Tesoro, Cripta): Dal lunedì al sabato dalle ore 9:30 alle ore 17:30. Telefono: 091/334373 All’interno della Chiesa si conserva il sarcofago di Federico II Nella cripta è conservato Il “Tesoro della Cattedrale” e comprende una raccolta di opere d’arte databili tra l’età dei Normanni e l’Ottocento. Bellissima la corona della prima moglie di Federico II di Svevia, l’imperatrice Costanza d’Aragona Si possono inoltre visitare i Tetti della Cattedrale tutti i giorni dalle 9,00 fino alle 17,00 e di sera secondo calendario prestabilito L’area è aperta i giorni feriali dalle ore 09.30 alle ore 13.30 e dalle ore 14.30 alle ore 17.30 Per giungere in Cattedrale a piedi Da dove Vi trovate dovrete portarvi sul Corso Vittorio Emanuele, quando Vi sarete giunti: se avrete alle vostre spalle la Porta Nuova proseguirete, superando la villa Bonanno ricca di alte palme, fino a che alla vostra sinistra si aprirà una piazza dominata dalla splendida mole della nostra Cattedrale, se davanti a Voi avrete la Porta Nuova risalite il Corso fino che alla Vostra destra non vedrete il lungo prospetto della nostra Cattedrale. Per giungere in Cattedrale con gli autobus di linea dal porto, linea 139 fino a Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale. dalla stazione, linea 107 o 101 sino al Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale da e per Monreale, linee: 309, 339 e 389 da e per Piazza Indipendenza. da e per Piazza Politeama, linea 104 Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con l’aereo Se noleggiate un’auto immettetevi nell’autostrada che collega l’aeroporto con la Città e seguite le indicazioni per “arrivo in città con auto” Se scegliete di arrivare in città con il pullman di linea, questo Vi porterà a Piazza Giulio Cesare e seguite le indicazioni “arrivo in città con il treno” Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con l’automobile Sia che arriverete a Palermo dalle autostrade che dalle Vie che collegano la Città al resto della Sicilia, vi immetterete nel Viale Regione Siciliana. La percorrete fino alla uscita “Corso Calatafimi”. Prendete la direzione Centro e percorrerete il lungo rettilineo che si conclude nella Piazza Indipendenza che supererete percorrendo il senso rotatorio che vi porterà, passati sotto l’arco di Porta Nuova, nel Corso Vittorio Emanuele, alla vostra destra le palme della Villa Bonanno, oltrepassata questa, si aprirà alla vostra sinistra la piazza dominata dalla Cattedrale. Nelle adiacenti Piazza Sett’Angeli e Piazza Papireto potrete parcheggiare la Vostra auto. Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con la nave La Cattedrale è abbastanza distante dal porto per cui Vi consigliamo di usare un mezzo pubblico: autobus, taxi o carrozzella (pattuite prima il prezzo). Autobus di linea dal porto: linea 139 fino a Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale. Qui Vi consigliamo una lunga passeggiata che Vi consentirà di visitare alcuni dei principali monumenti di Palermo. Usciti dal porto percorrete la Via Enrico Amari che si conclude nella splendida Piazza Politeama che prende il nome da teatro in stile liberty che in essa sorge. Da qui percorrete la centralissima Via Ruggero Settimo, detta il “salotto di Palermo” ed arriverete a Piazza Massimo in cui si erge l’imponente mole del neoclassico Teatro Massimo. Proseguite per la Via Maqueda fino ad arrivare ai “Quattro Canti di Città”, determinati dall’incrocio di detta Via con il Corso Vittorio Emanuele. Nelle immediate vicinanze si trovano la Piazza Pretoria con il Palazzo di Città e con la splendida fontana cinquecentesca, le normanne Chiese della Martorana e di S. Cataldo e la Chiesa Barocca di S. Giuseppe. Risalite il Corso Vittorio Emanuele verso monte fino a che alla vostra destra non si apre il piano dominato dal prospetto meridionale della nostra Cattedrale. Oltre alla Cattedrale potrete qui visitare il Museo Diocesano. La vostra passeggiata potrà quindi continuare lungo il Corso Vittorio Emmanuele alla cui conclusione si erge il Palazzo Reale con le sue testimonianze del tempo normanno tra le quali la Cappella Palatina. Quindi ritornate sui Vostri passi fino alla Cattedrale e proseguite per Via Matteo Bonelli, Via Gioeni, Via Beati Paoli per visitare il mercato polare del Capo ricco di tesori d’arte, di colori di sapori e di tradizioni popolari. Concluso questo itinerario di visita davanti alla Porta Carini nella Via Volturno, nelle immediate vicinanze del Teatro Mossimo, di cui potrete vedere facilmente la cupola Vi consigliamo di raggiungere la Vostra successiva destinazione con un mezzo pubblico. Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con il treno La Cattedrale è abbastanza distante dalla Stazione ferroviaria Centrale. Vi consigliamo di prendere la metropolitana e scendere alla Stazione “Orleans” posta nelle immediate vicinanze del Palazzo Reale che custodisce splendide testimonianze del tempo normanno tra cui la Cappella Palatina. Costeggiando il Palazzo reale arriverete al Corso Vittorio Emanuele che percorrerete fino a che alla vostra sinistra non si apre il piano dominato dal prospetto meridionale della nostra Cattedrale. Autobus di linea che dalla stazione portano in Cattedrale: linea 107 o 101 sino al Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale
746 persone del luogo consigliano
Cattedrale di Palermo
490 Via Vittorio Emanuele
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La cattedrale di Palermo ha una storia molto antica e complessa e fa parte del patrimonio arabo-normanno e dell’omonimo percorso che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell’umanità. LA STORIA Attorno al 1170, durante il regno di Guglielmo II, l’arcivescovo di Palermo l’inglese Walter Off the Mill, dalla tradizione ricordato col nome di Gualtiero Affamilio, iniziò la costruzione di un nuovo Duomo. Si trattò in realtà della ricostruzione di una preesistente antica cattedrale gravemente danneggiata dal terremoto del 1169. La Cattedrale gualteriana cronologicamente costituiva la terza delle chiese succedutesi nel sito; in questo luogo infatti sorgeva, già in età paleocristiana (IV secolo), una basilica distrutta intorno alla metà del V secolo durante le persecuzioni vandaliche, sulle cui rovine fu costruita dal vescovo Vittore e per volontà di San Gregorio Magno nel 590, la “Sanctae Mariae Basilica”, consacrata nell’anno 604. Durante l’occupazione saracena nel IX secolo, la chiesa venne ristrutturata ed ampliata per essere trasformata in una grande moschea. Con l’avvento dei normanni la chiesa fu restituita all’originale culto cristiano (1072) e reintegrato il vescovo Nicodemo che, in clandestinità, durante la dominazione araba aveva continuato ad esercitare il culto cristiano. Il progetto edilizio dell’arcivescovo era molto ambizioso, la sua realizzazione richiedeva ingenti risorse, e la tradizione popolare spiega le possibilità economiche dell’Offamilio con il ritrovamento di un mitico "gran tesoro" fuori le mura della città, tesoro che servì per la costruzione della chiesa e del monastero cistercense di Santo Spirito ed il cui rimanente fu speso per la nuova “Majuri Ecclesia” palermitana. L'ARCHITETTURA Opera grandiosa, l’originaria costruzione gualteriana si sviluppava su un impianto basilicale suddiviso in tre navate, innestato ad un “santuario” costituito dall’assemblaggio del transetto con un corpo a tre absidi, di cui quella centrale di dimensioni maggiori. L’impianto era a croce latina e presentava una teoria di dieci archi a sesto acuto rette da gruppi di quattro colonne di granito egizio, provenienti da costruzioni di età classica (probabilmente ricavati dal materiale di spoglio dell’antico tempio nicodemiano) per ognuno dei lati della navata maggiore, più un gruppo di colonne binate dello stesso ordine, alle due estremità. Venti finestre bifore per lato illuminavano la navata maggiore e altrettante le navate laterali. Il coro riceveva luce attraverso le arcate del “Cleristorio”, loggiato architettonico di origine nordico, che si apriva in alto nelle volte del presbiterio. Il tetto della navata maggiore era ligneo e strutturato a capriate, “riccamente decorato e sorretto da diciannove travi dipinte” (Mongitore). In asse alla navata centrale era la porta maggiore ed in asse alle navate minori erano le due porte laterali, aperte come la prima nel muro di prospetto occidentale, sull’antica “discesa della Madre Chiesa”, l’odierna via Matteo Bonello. Altre due porte di accesso alla chiesa erano aperte nei muri d’ambito, una a mezzogiorno e l’altra a settentrione. Il sacro edificio, consacrato nel 1185, in onore di Maria Santissima Assunta, era ancora incompiuto alla morte del suo committente (e probabile architetto), avvenuta nel 1190, appena un anno dopo di quella del grande re Guglielmo II. La morte impedì all’arcivescovo la completa realizzazione del suo grandioso progetto, ma è probabile che anche i mezzi finanziari di cui disponeva non furono sufficienti. Fin dalle sue origini, la Cattedrale di Palermo ebbe funzioni di culto e di fortezza, e anche quella di tempio funerario riservato ai re, alle loro famiglie e agli arcivescovi. Furono infatti riservati a tal fine due spazi simmetrici nel “santuario” ai lati del coro. La Cattedrale palermitana, la cui storia riflette e sintetizza quella della città, ha subito, attraverso i secoli, continui rimaneggiamenti, restauri, aggiunte e modifiche, di cui talune a volte discutibili. Alla prima metà del XV secolo, risale il prezioso portico della facciata meridionale, mirabile manufatto architettonico-scultoreo del maestro della fabbriceria del Duomo, il “Magister Marammae” Antonio Gambara. Il portico, ritenuto un grande capolavoro dell’arte siciliana, rimarca fortemente i caratteri stilistici dell’architettura catalana in gotico fiorito.Le tre arcate ogivali, di forma arabeggiante, fiancheggiate da due torri laterali, sono sovrastate da un grande timpano, inquadrato da una fascia decorativa di elementi scultorei che raffigurano animali in movimento, figure vegetali e antropomorfe "l'albero della vita". Sotto il portico, si trovano bassorilievi di grande interesse storico, che celebrano l’uno l’incoronazione di Vittorio Amedeo II di Savoia, l’altro quella di Carlo III di Borbone, avvenute entrambi nel Duomo palermitano. Nel 1466 l’arcivescovo Nicola Puxades arricchì il duomo di un pregiatissimo coro ligneo intagliato fatto di 78 fastosi stalli corali, in stile gotico catalano. Nel XVI secolo si volle ornare l’abside maggiore della chiesa con una grande tribuna marmorea, della cui esecuzione fu incaricato il più grande scultore siciliano del Cinquecento, Antonello Gagini. La famosa tribuna, che richiese più di mezzo secolo di lavoro (la terminarono i figli di Antonello), conteneva in due ordini di nicchie 47 statue di santi ed era sovrastata dalla figura del Padre Eterno tra una gloria di Angeli . Opera grandiosa e di grande ricchezza artistica, la tribuna del Gagini  pur col suo carattere discordante con quello dell’antica cattedrale gualteriana, era per essa altamente decorativa, anche se mancava di un criterio unificatore. La sua sciagurata distruzione rientra nell’opera di rinnovamento della Cattedrale avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo (la maggior parte delle sue statue furono sistemate fuori dal tempio a coronamento delle mura esterne). La decorazione esterna della chiesa fu compiuta in tempi diversi, compresa la costruzione degli ordini superiori delle quattro torri angolari scalari, del prospetto occidentale e ancora della torre campanaria attuale (costruita in stile neogotico nel 1805 su progetto di Emanuele Palazzotto). Nei continui tentativi di adeguare l’antico edificio allo stile architettonico dei tempi, nel 1767 don Ferdinando Fuga, regio ingegnere alla corte dei Borboni, su commissione dell’arcivescovo Filangeri, elaborò un grandioso progetto di totale trasformazione e ammodernamento della chiesa. Accantonato per molti anni, il progetto fu ripreso e affidato alla direzione degli architetti Giuseppe Venanzio Marvuglia e Salvatore Attinelli, che vi lavorarono dal 1781 al 1801. Questi lavori comportarono la cancellazione di almeno tre quarti della primitiva architettura: gli interni dell’antica fabbrica furono totalmente riconfigurati, vennero smembrati i gruppi di colonne tetrastili, per fare posto ad una severa sequenza di grandi pilastroni intercalati da archeggiature a tutto sesto della più severa concezione neoclassica. Profonde alterazioni subirono le navate, sia quella centrale che quelle laterali. La trasformazione più evidente riguardò l’area presbiteriale, modificando nelle proporzioni l’originale “titulo” (coro) ed “antititulo” dell’antica basilica gualteriana. Il coro modificato fu prolungato fino all’abside maggiore, si ricostruì il transetto e nel contempo fu innalzata una solenne cupola neoclassica, la cui altezza doveva sovrastare tutte le altre della città. La Basilica normanna venne pesantemente deturpata e si trasformò in un’austera chiesa della controriforma, abolendo così ogni ricordo di quella che fu la più grande delle Cattedrali normanne di Sicilia. Anche l’esterno subì delle trasformazioni, in analogia alla riconfigurazione dei volumi originari dell’interno, mantenendo comunque sempre una impronta non priva di raffinatezze architettoniche. La decorazione esterna originaria, caratterizzata da una ricca decorazione a tarsie bicrome (in cui la pietra chiara è alternata con pietra lavica) venne in parte occultata: la parte absidale del prospetto orientale, è quella più originale (XII secolo), presenta una decorazione ad intreccio di archi ciechi, a tarsia lavica, con motivi geometrici che si intersecano dando vita al tipico disegno a doppia archeggiatura, analoghi motivi ornamentali si ritrovano parzialmente anche nelle absidi del Duomo di Monreale. Del suo attuale aspetto, assieme al portico del fronte meridionale, questa è la parte della Cattedrale più suggestiva, di più elevato fascino architettonico e che colpisce più il visitatore. Tantissime e pregevoli sono le opere d'arte  che si conservano nel Duomo, soprattutto del periodo rinascimentale. Tra le tante preziose testimonianze d’arte  oggi esistenti nel tempio, si devono ricordare la cappella del Sacramento, con un prezioso ciborio secentesco in lapislazzuli, l'altare del Crocifisso  in cui si venera un antichissimo simulacro di Cristo, di grande intensità drammatica, dono di Manfredi Chiaramonte nel XIV secolo, le acquasantiere della navata centrale opere di Domenico Gagini e Giuseppe Spatafora, un fonte battesimale di forma ottagonale, opera degli scultori Filippo e Gaetano Pennino,  la Madonna Libera Inferni, opera di immateriale bellezza di Francesco Laurana e tantissime altre opere di grandi artisti. Infine la famosa cappella di Santa Rosalia, luogo di venerazione per i palermitani, posta nell’abside minore del transetto di destra, che conserva i resti mortali della Santa Patrona della città racchiuse in una preziosa urna d’argento, pregevolissimo lavoro di abili artisti siciliani del seicento su disegno di Mariano Smiriglio. Le statue della tribuna del Gagini, che erano state lungo tempo all’esterno, alla fine dell’ultima guerra, sono state riportate nell’interno e addossate ai pilastri della navata maggiore. Occorre inoltre, far cenno sia del tesoro, ricco di preziosi paramenti e suppellettili, argenti sacri e paliotti d’altare, i cui pezzi di maggiore interesse sono la corona ed i gioielli tratti dal sepolcro di Costanza D'Aragona, sia della cripta (che secondo molti studiosi appartiene all’antica fabbrica nicodemiana), ricca di antichi sarcofagi di cui alcuni paleo-cristiani. Posti in un angolo della Cattedrale, a sinistra dell’ingresso del portico meridionale, troviamo gli avelli regali, che originariamente, come già accennato, erano situati nel coro. Caratterizzati da una semplicità grandiosa e solenne i sepolcri dei monarchi siciliani sono una delle maggiori attrattive per chi visita la Cattedrale. Nel primo vano troviamo la tomba dell’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen realizzata in porfido massiccio e baldacchino sempre in porfido a forma di tempio. Simile alla prima è la tomba della moglie, l’imperatrice Costanza d’Altavilla, mentre il baldacchino è in marmo bianco e presenta una decorazione musiva con tessere d’oro: incassata nella parete di fondo della cappella troviamo il sarcofago in marmo bianco di epoca romana, dell’imperatrice Costanza d’Aragona, figlia di Alfonso II d’Aragona e prima moglie di Federico II, nel cui fronte è scolpita una piacevole scena di caccia. Nel secondo vano si trova il monumento sepolcrale del grande Federico II, tutto in porfido rosso appoggiato su un basamento formato da due coppie di leoni che sostengono l’urna nella curva dei loro dorsi: il sarcofago di Federico reca scolpiti sul coperchio, dei tondi dove sono rappresentati i quattro evangelisti, il Redentore e una Madonna con Bambino. Il sarcofago contiene altri due corpi, quello di Pietro III d’Aragona e quello di una giovane donna la cui identità è ancora avvolta nel mistero (forse la nipote Beatrice, figlia di Manfredi). Dietro la tomba di Federico si trova il sarcofago di Ruggero II, primo re di Sicilia, costruito in lastre di porfido squadrate sostenuto da telamoni scolpiti in marmo bianco, è coperto da un baldacchino marmoreo con decorazione musiva, molto simile a quello della figlia Costanza d’Altavilla: nella parete di sinistra che delimita la cappella con la tomba di Federico, troviamo il sarcofago di Guglielmo d’Aragona duca di Atene e figlio di Federico III d’Aragona. Due dei sarcofagi di porfido sono quelli che re Ruggero II fece sistemare nel Duomo di Cefalù per accogliere le sue spoglie e quelle del suo successore. Il nipote, l’imperatore Federico II, non rispettando le volontà del nonno, con un atto di prepotenza nel 1215 li fece traslare nella Cattedrale di Palermo, dove accolsero le salme dei suoi genitori, Enrico VI e Costanza d’Altavilla. Al sepolcro di Federico provvide il figlio Manfredi. Alcuni studiosi sostengono invece, che il sarcofago di Federico sia uno dei due “cefaludensi” e che l’altro sia quello di Enrico. Prima di concludere questo sguardo sulla Cattedrale di Palermo, occorre ricordare che nella sua lunga e tormentata vita, la nostra “Chiesa Madre” è stata silenziosa testimone della vita del popolo palermitano e anche di tantissime vicende storiche. Oggi più che un monumento, rappresenta una preziosa testimonianza di espressioni artistiche e architettoniche diverse, e visitarla è come sfogliare della pagine di storia e di arte. La Cattedrale di Palermo fa parte del percorso arabo-normanno PATRIMONIO MONDIALE DELL'UNESCO. Orario Sante Messe: Dal lunedì al sabato ore 7:15, 18:00. Domenica e festivi ore 9:00, 10:00, 11:00, 18:00 Apertura al pubblico Cattedrale: Dal lunedì al sabato dalle ore 7:00 alle ore 19:00 Domenica e festivi dalle ore 8:00 alle ore 13:00 e dalle ore 16:00 alle ore 19:00 ingresso libero Apertura al pubblico Area monumentale (Tombe reali, Tesoro, Cripta): Dal lunedì al sabato dalle ore 9:30 alle ore 17:30. Telefono: 091/334373 All’interno della Chiesa si conserva il sarcofago di Federico II Nella cripta è conservato Il “Tesoro della Cattedrale” e comprende una raccolta di opere d’arte databili tra l’età dei Normanni e l’Ottocento. Bellissima la corona della prima moglie di Federico II di Svevia, l’imperatrice Costanza d’Aragona Si possono inoltre visitare i Tetti della Cattedrale tutti i giorni dalle 9,00 fino alle 17,00 e di sera secondo calendario prestabilito L’area è aperta i giorni feriali dalle ore 09.30 alle ore 13.30 e dalle ore 14.30 alle ore 17.30 Per giungere in Cattedrale a piedi Da dove Vi trovate dovrete portarvi sul Corso Vittorio Emanuele, quando Vi sarete giunti: se avrete alle vostre spalle la Porta Nuova proseguirete, superando la villa Bonanno ricca di alte palme, fino a che alla vostra sinistra si aprirà una piazza dominata dalla splendida mole della nostra Cattedrale, se davanti a Voi avrete la Porta Nuova risalite il Corso fino che alla Vostra destra non vedrete il lungo prospetto della nostra Cattedrale. Per giungere in Cattedrale con gli autobus di linea dal porto, linea 139 fino a Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale. dalla stazione, linea 107 o 101 sino al Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale da e per Monreale, linee: 309, 339 e 389 da e per Piazza Indipendenza. da e per Piazza Politeama, linea 104 Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con l’aereo Se noleggiate un’auto immettetevi nell’autostrada che collega l’aeroporto con la Città e seguite le indicazioni per “arrivo in città con auto” Se scegliete di arrivare in città con il pullman di linea, questo Vi porterà a Piazza Giulio Cesare e seguite le indicazioni “arrivo in città con il treno” Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con l’automobile Sia che arriverete a Palermo dalle autostrade che dalle Vie che collegano la Città al resto della Sicilia, vi immetterete nel Viale Regione Siciliana. La percorrete fino alla uscita “Corso Calatafimi”. Prendete la direzione Centro e percorrerete il lungo rettilineo che si conclude nella Piazza Indipendenza che supererete percorrendo il senso rotatorio che vi porterà, passati sotto l’arco di Porta Nuova, nel Corso Vittorio Emanuele, alla vostra destra le palme della Villa Bonanno, oltrepassata questa, si aprirà alla vostra sinistra la piazza dominata dalla Cattedrale. Nelle adiacenti Piazza Sett’Angeli e Piazza Papireto potrete parcheggiare la Vostra auto. Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con la nave La Cattedrale è abbastanza distante dal porto per cui Vi consigliamo di usare un mezzo pubblico: autobus, taxi o carrozzella (pattuite prima il prezzo). Autobus di linea dal porto: linea 139 fino a Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale. Qui Vi consigliamo una lunga passeggiata che Vi consentirà di visitare alcuni dei principali monumenti di Palermo. Usciti dal porto percorrete la Via Enrico Amari che si conclude nella splendida Piazza Politeama che prende il nome da teatro in stile liberty che in essa sorge. Da qui percorrete la centralissima Via Ruggero Settimo, detta il “salotto di Palermo” ed arriverete a Piazza Massimo in cui si erge l’imponente mole del neoclassico Teatro Massimo. Proseguite per la Via Maqueda fino ad arrivare ai “Quattro Canti di Città”, determinati dall’incrocio di detta Via con il Corso Vittorio Emanuele. Nelle immediate vicinanze si trovano la Piazza Pretoria con il Palazzo di Città e con la splendida fontana cinquecentesca, le normanne Chiese della Martorana e di S. Cataldo e la Chiesa Barocca di S. Giuseppe. Risalite il Corso Vittorio Emanuele verso monte fino a che alla vostra destra non si apre il piano dominato dal prospetto meridionale della nostra Cattedrale. Oltre alla Cattedrale potrete qui visitare il Museo Diocesano. La vostra passeggiata potrà quindi continuare lungo il Corso Vittorio Emmanuele alla cui conclusione si erge il Palazzo Reale con le sue testimonianze del tempo normanno tra le quali la Cappella Palatina. Quindi ritornate sui Vostri passi fino alla Cattedrale e proseguite per Via Matteo Bonelli, Via Gioeni, Via Beati Paoli per visitare il mercato polare del Capo ricco di tesori d’arte, di colori di sapori e di tradizioni popolari. Concluso questo itinerario di visita davanti alla Porta Carini nella Via Volturno, nelle immediate vicinanze del Teatro Mossimo, di cui potrete vedere facilmente la cupola Vi consigliamo di raggiungere la Vostra successiva destinazione con un mezzo pubblico. Per giungere in Cattedrale essendo arrivati in città con il treno La Cattedrale è abbastanza distante dalla Stazione ferroviaria Centrale. Vi consigliamo di prendere la metropolitana e scendere alla Stazione “Orleans” posta nelle immediate vicinanze del Palazzo Reale che custodisce splendide testimonianze del tempo normanno tra cui la Cappella Palatina. Costeggiando il Palazzo reale arriverete al Corso Vittorio Emanuele che percorrerete fino a che alla vostra sinistra non si apre il piano dominato dal prospetto meridionale della nostra Cattedrale. Autobus di linea che dalla stazione portano in Cattedrale: linea 107 o 101 sino al Corso Vittorio Emanuele, quindi la linea 105 per la Cattedrale
Piazza Pretoria si trova poco distante dai Quattro Canti, esattamente nel baricentro della città storica di Palermo ed è comunemente chiamata “Piazza della Vergogna” si pensa per la nudità delle statue che compongono la bellissima fontana. Questa è scolpita tutta in marmo bianco di Carrara per opera dello scultore Francesco Camilliani che la realizzò a Firenze nel 1554 e successivamente acquistata dalla città di Palermo. Storia e leggenda della fontana Pretoria La fontana, denominata Fontana Pretoria, mirabile esempio di Rinascimento toscano, occupa tutto il centro della Piazza ed è una delle più belle fontane d’Italia. E’ composta da più anelli concentrici divisi da una vasca d’acqua, sormontati da scalinate che fungono da piccoli ponti e parapetti di marmo. Al centro uno stelo composto da tre vasche posizionate una sull’altra, dove fuoriesce un fusto di marmo che sorregge un puttino con una cornucopia, simbolo mitologico di cibo e abbondanza. Gli déi dell’Olimpo, figure allegoriche dei fiumi di Palermo, Oreto, Papireto, Gabriele e Maredolce, insieme a numerose statue di uomini e donne, divinità pagane e teste di animali versano acqua nelle vasche. A racchiudere la monumentale fontana una cancellata in ferro battuto di Giovanni Battista Basile (1858) che presenta quattro varchi ornati da otto Erme (pilastrini sormontate da una testa scolpita). La fontana in realtà non fu costruita per questa piazza, ma era stata commissionata alla fine del 1500 per una villa fiorentina, di proprietà di Don Pedro de Toledo per arricchire il suo bellissimo giardino, ma alla morte del committente il figlio decise di venderla. Smontata in 644 pezzi e imballati giunse a Palermo il 26 maggio 1574.Per far posto alla fontana, vennero demolite diverse abitazioni. La fontana tuttavia non era più come in origine, alcune sculture infatti si rovinarono durante il trasporto, mentre altre restarono al proprietario La cura della ricomposizione e dell’adattamento della fontana fu affidata nel 1574 a Camillo Camilliani, figlio di Francesco, che ultimò i suoi interventi nel 1581. Una leggenda racconta che lateralmente alla piazza sorgeva un convento di monache di clausura e una notte le sorelle, mortificate e vergognate dall’oscena nudità delle statue, scesero in piazza approfittando del buio, ed evirarono le indecenti sculture, per eliminare così le “vergogne che stavano al vento”, ma in effetti non è proprio così, perché se andiamo a vedere di persona possiamo notare che di statue evirate ce ne sono ben poche, quasi tutti gli uomini vantano del proprio membro! Probabilmente il nome “Vergogna” potrebbe provenire dalle lamentele del popolo palermitano che a quel tempo considerò vergognosa la cifra spesa dal Senato per acquistare il monumento. I Monumenti intorno a Piazza Pretoria La Piazza Pretoria si apre a bandiera sulla Via Maqueda ed è racchiusa ai due lati da Palazzi storici e frontalmente dalla facciata laterale della Chiesa di santa Caterina d’Alessandria La Chiesa di Santa Caterina, conserva al suo interno la più vasta decorazione in marmi policromi della città, uno degli esempi più imponenti, esuberanti del barocco palermitano, lateralmente il quattrocentesco Palazzo Senatorio, chiamato anche Palazzo Pretorio o Palazzo delle Aquile, sede del Comune, si affacciano inoltre nella Piazza due palazzi baronali: Palazzo Bordonaro a dire il vero mal ridotto e bisognoso di restauro (XVI Sec.) e Palazzo Bonocore. Dall’altra parte della strada a cui si accede da una bellissima scalinata, la chiesa barocca di San Giuseppe dei Teatini, costruita all’inizio del XVII secolo, poco significativa nella parte esterna ma con degli interni sontuosamente decorati.
296 persone del luogo consigliano
Piazza Pretoria
Piazza Pretoria
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Piazza Pretoria si trova poco distante dai Quattro Canti, esattamente nel baricentro della città storica di Palermo ed è comunemente chiamata “Piazza della Vergogna” si pensa per la nudità delle statue che compongono la bellissima fontana. Questa è scolpita tutta in marmo bianco di Carrara per opera dello scultore Francesco Camilliani che la realizzò a Firenze nel 1554 e successivamente acquistata dalla città di Palermo. Storia e leggenda della fontana Pretoria La fontana, denominata Fontana Pretoria, mirabile esempio di Rinascimento toscano, occupa tutto il centro della Piazza ed è una delle più belle fontane d’Italia. E’ composta da più anelli concentrici divisi da una vasca d’acqua, sormontati da scalinate che fungono da piccoli ponti e parapetti di marmo. Al centro uno stelo composto da tre vasche posizionate una sull’altra, dove fuoriesce un fusto di marmo che sorregge un puttino con una cornucopia, simbolo mitologico di cibo e abbondanza. Gli déi dell’Olimpo, figure allegoriche dei fiumi di Palermo, Oreto, Papireto, Gabriele e Maredolce, insieme a numerose statue di uomini e donne, divinità pagane e teste di animali versano acqua nelle vasche. A racchiudere la monumentale fontana una cancellata in ferro battuto di Giovanni Battista Basile (1858) che presenta quattro varchi ornati da otto Erme (pilastrini sormontate da una testa scolpita). La fontana in realtà non fu costruita per questa piazza, ma era stata commissionata alla fine del 1500 per una villa fiorentina, di proprietà di Don Pedro de Toledo per arricchire il suo bellissimo giardino, ma alla morte del committente il figlio decise di venderla. Smontata in 644 pezzi e imballati giunse a Palermo il 26 maggio 1574.Per far posto alla fontana, vennero demolite diverse abitazioni. La fontana tuttavia non era più come in origine, alcune sculture infatti si rovinarono durante il trasporto, mentre altre restarono al proprietario La cura della ricomposizione e dell’adattamento della fontana fu affidata nel 1574 a Camillo Camilliani, figlio di Francesco, che ultimò i suoi interventi nel 1581. Una leggenda racconta che lateralmente alla piazza sorgeva un convento di monache di clausura e una notte le sorelle, mortificate e vergognate dall’oscena nudità delle statue, scesero in piazza approfittando del buio, ed evirarono le indecenti sculture, per eliminare così le “vergogne che stavano al vento”, ma in effetti non è proprio così, perché se andiamo a vedere di persona possiamo notare che di statue evirate ce ne sono ben poche, quasi tutti gli uomini vantano del proprio membro! Probabilmente il nome “Vergogna” potrebbe provenire dalle lamentele del popolo palermitano che a quel tempo considerò vergognosa la cifra spesa dal Senato per acquistare il monumento. I Monumenti intorno a Piazza Pretoria La Piazza Pretoria si apre a bandiera sulla Via Maqueda ed è racchiusa ai due lati da Palazzi storici e frontalmente dalla facciata laterale della Chiesa di santa Caterina d’Alessandria La Chiesa di Santa Caterina, conserva al suo interno la più vasta decorazione in marmi policromi della città, uno degli esempi più imponenti, esuberanti del barocco palermitano, lateralmente il quattrocentesco Palazzo Senatorio, chiamato anche Palazzo Pretorio o Palazzo delle Aquile, sede del Comune, si affacciano inoltre nella Piazza due palazzi baronali: Palazzo Bordonaro a dire il vero mal ridotto e bisognoso di restauro (XVI Sec.) e Palazzo Bonocore. Dall’altra parte della strada a cui si accede da una bellissima scalinata, la chiesa barocca di San Giuseppe dei Teatini, costruita all’inizio del XVII secolo, poco significativa nella parte esterna ma con degli interni sontuosamente decorati.
Situata in posizione dominante la sottostante piazza Bellini, la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, nota anche come “la Martorana“, deve la sua più comune denominazione alla presenza di un monastero benedettino femminile, fondato nel 1193 da Goffredo ed Aloisia de Marturano, al quale nel 1435 il re Alfonso “il Magnanimo” concesse la chiesa. La sua edificazione (1143-1185), si deve al grande Ammiraglio del Regno, Giorgio Antiocheno, come ringraziamento per l’aiuto e la protezione concessagli dalla Santissima Vergine: il famoso Ammiraglio, volle assegnare la chiesa al clero greco bizantino, stabilendone anche la dotazione (un fondo in Misilmeri con 10 villani). Nel 1282 dopo la rivolta del Vespro, nella chiesa ebbe luogo la riunione dei maggiori baroni del Regno, in cui si giurò fedeltà a Pietro d’Aragona che aveva appoggiato la rivolta contro Carlo d’Angiò. L’aspetto attuale, dovuto alle aggiunte di epoca barocca, in parte eliminati dai restauri ottocenteschi operati dall’ing. Giuseppe Patricolo (1870-1873), rivela chiaramente il contrasto tra la facciata barocca e la superficie muraria della originaria costruzione normanna, facilmente riconoscibile dai caratteri inconfondibili dell’architettura ecclesiale del medioevo siciliano: il disegno delle arcate, le finestrelle ogivali, la muratura eseguita con filari di piccoli conci ben squadrati e la presenza della cupola. L’interno, vero gioiello dell’arte bizantina, è a croce greca inscritta in un quadrato, con i bracci della croce coperti a botte e gli ambienti sulle diagonali coperti da volte a crociera. Al centro quattro colonne collegate da archi moderatamente ogivali sorreggono un tamburo ottagonale con pennacchi a nicchie rientranti, sul quale imposta la calotta emisferica della cupola. Preziosissimo è l’apparato musivo interno, tra i più antichi in Sicilia, portato a compimento da maestranze bizantine prima del 1151, data approssimativa della morte del committente; in gran parte sopravvissuto alle successive manomissioni. I quadri che costituiscono la decorazione musiva seguono una rigorosa disposizione, rispondente al programma liturgico che li presuppone. Il fulcro di tutta la composizione è il “Cristo assiso benedicente“, sulla sommità della cupola, con il mondo ai piedi e, distribuiti sulla volta della calotta, quattro angeli prostrati in atto di adorazione; alla base della cupola un fregio in legno di abete, scoperto nel 1871, reca un’iscrizione dipinta in bianco su fondo turchino, il cui testo, eccezionale esempio di convivenza tra culture diverse, comprende un inno della liturgia bizantina (il sanctus con Osanna e Gloria ) tradotto in arabo, la lingua madre di Giorgio d’Antiochia. Nel tamburo della cupola sono otto profeti e nelle nicchie dei pennacchi angolari i quattro evangelisti. Sull’arco trionfale è raffigurata l’Annunciazione, negli arconi la Natività, la Dormizione della Vergine e la Presentazione al Tempio. Nelle volte a botte vi sono raffigurati santi sempre legati alla figura di Maria. Della decorazione musiva che in origine ornava la parete del portico rimangono soltanto due suggestivi pannelli che nel 1538, a seguito della distruzione del portico, furono spostati nei recessi laterali dell’ingresso,dove ancora oggi si possono ammirare: in quello di destra è raffigurato ”Giorgio d’Antiochia ai piedi della Vergine”, che originariamente era posto sopra la sua tomba, di fianco all’ingresso del santuario, mentre in quello di sinistra è la notissima“incoronazione di re Ruggero II”. Negli ultimi anni del XVII secolo l’abside centrale semicircolare venne sostituito da un cappellone rettangolare, opera di Paolo Amato, successivamente decorato a marmi mischi e con affreschi nella cupola di Antonino Grano. Il magnifico coro delle monache, che sostituisce l’atrio porticato originario costruito alla fine del cinquecento per volontà della badessa Eleonora di Bologna, si è salvato dalle demolizioni ottocentesche condotte dal Patricolo e ospita opere del celebre pittore fiammingo Guglielmo Borremans, di Olivio Sozzi e di Giuseppe Salerno detto lo “zoppo di Ganci”. Splendida è la pavimentazione policroma a mosaici e tarsie marmoree. Sotto la zona del presbiterio si trova l’antica cripta sepolcrale delle monache, dalla quale attraverso un camminamento sotterraneo sotto Piazza Bellini e Piazza Pretoria, opera dell’architetto Nicolò Palma nel XVIII secolo, si raggiungeva un belvedere su palazzo Guggino Bordonaro, da dove le monache potevano godere dell’ambito affaccio sul Cassaro. Recenti restauri durati circa due anni hanno riportato a nuova luce il magnifico edificio religioso. La chiesa è visitabile tutti i giorni, al di fuori delle funzioni sacre, con il contributo di un biglietto d’ingresso. Indirizzo: Piazza Bellini 3 Apertura al pubblico: Dal lunedì al sabato dalle ore 09:45 alle 13:00 e dalle ore 15:30 alle 17:30 Domenica dalle ore 09:00 alle 10:30 e dalle 11:45 alle 13:00 festivi infras. dalle 10.30 alle 12.30.
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Santa Maria dell'Ammiraglio (La Martorana)
3 Piazza Bellini
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Situata in posizione dominante la sottostante piazza Bellini, la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, nota anche come “la Martorana“, deve la sua più comune denominazione alla presenza di un monastero benedettino femminile, fondato nel 1193 da Goffredo ed Aloisia de Marturano, al quale nel 1435 il re Alfonso “il Magnanimo” concesse la chiesa. La sua edificazione (1143-1185), si deve al grande Ammiraglio del Regno, Giorgio Antiocheno, come ringraziamento per l’aiuto e la protezione concessagli dalla Santissima Vergine: il famoso Ammiraglio, volle assegnare la chiesa al clero greco bizantino, stabilendone anche la dotazione (un fondo in Misilmeri con 10 villani). Nel 1282 dopo la rivolta del Vespro, nella chiesa ebbe luogo la riunione dei maggiori baroni del Regno, in cui si giurò fedeltà a Pietro d’Aragona che aveva appoggiato la rivolta contro Carlo d’Angiò. L’aspetto attuale, dovuto alle aggiunte di epoca barocca, in parte eliminati dai restauri ottocenteschi operati dall’ing. Giuseppe Patricolo (1870-1873), rivela chiaramente il contrasto tra la facciata barocca e la superficie muraria della originaria costruzione normanna, facilmente riconoscibile dai caratteri inconfondibili dell’architettura ecclesiale del medioevo siciliano: il disegno delle arcate, le finestrelle ogivali, la muratura eseguita con filari di piccoli conci ben squadrati e la presenza della cupola. L’interno, vero gioiello dell’arte bizantina, è a croce greca inscritta in un quadrato, con i bracci della croce coperti a botte e gli ambienti sulle diagonali coperti da volte a crociera. Al centro quattro colonne collegate da archi moderatamente ogivali sorreggono un tamburo ottagonale con pennacchi a nicchie rientranti, sul quale imposta la calotta emisferica della cupola. Preziosissimo è l’apparato musivo interno, tra i più antichi in Sicilia, portato a compimento da maestranze bizantine prima del 1151, data approssimativa della morte del committente; in gran parte sopravvissuto alle successive manomissioni. I quadri che costituiscono la decorazione musiva seguono una rigorosa disposizione, rispondente al programma liturgico che li presuppone. Il fulcro di tutta la composizione è il “Cristo assiso benedicente“, sulla sommità della cupola, con il mondo ai piedi e, distribuiti sulla volta della calotta, quattro angeli prostrati in atto di adorazione; alla base della cupola un fregio in legno di abete, scoperto nel 1871, reca un’iscrizione dipinta in bianco su fondo turchino, il cui testo, eccezionale esempio di convivenza tra culture diverse, comprende un inno della liturgia bizantina (il sanctus con Osanna e Gloria ) tradotto in arabo, la lingua madre di Giorgio d’Antiochia. Nel tamburo della cupola sono otto profeti e nelle nicchie dei pennacchi angolari i quattro evangelisti. Sull’arco trionfale è raffigurata l’Annunciazione, negli arconi la Natività, la Dormizione della Vergine e la Presentazione al Tempio. Nelle volte a botte vi sono raffigurati santi sempre legati alla figura di Maria. Della decorazione musiva che in origine ornava la parete del portico rimangono soltanto due suggestivi pannelli che nel 1538, a seguito della distruzione del portico, furono spostati nei recessi laterali dell’ingresso,dove ancora oggi si possono ammirare: in quello di destra è raffigurato ”Giorgio d’Antiochia ai piedi della Vergine”, che originariamente era posto sopra la sua tomba, di fianco all’ingresso del santuario, mentre in quello di sinistra è la notissima“incoronazione di re Ruggero II”. Negli ultimi anni del XVII secolo l’abside centrale semicircolare venne sostituito da un cappellone rettangolare, opera di Paolo Amato, successivamente decorato a marmi mischi e con affreschi nella cupola di Antonino Grano. Il magnifico coro delle monache, che sostituisce l’atrio porticato originario costruito alla fine del cinquecento per volontà della badessa Eleonora di Bologna, si è salvato dalle demolizioni ottocentesche condotte dal Patricolo e ospita opere del celebre pittore fiammingo Guglielmo Borremans, di Olivio Sozzi e di Giuseppe Salerno detto lo “zoppo di Ganci”. Splendida è la pavimentazione policroma a mosaici e tarsie marmoree. Sotto la zona del presbiterio si trova l’antica cripta sepolcrale delle monache, dalla quale attraverso un camminamento sotterraneo sotto Piazza Bellini e Piazza Pretoria, opera dell’architetto Nicolò Palma nel XVIII secolo, si raggiungeva un belvedere su palazzo Guggino Bordonaro, da dove le monache potevano godere dell’ambito affaccio sul Cassaro. Recenti restauri durati circa due anni hanno riportato a nuova luce il magnifico edificio religioso. La chiesa è visitabile tutti i giorni, al di fuori delle funzioni sacre, con il contributo di un biglietto d’ingresso. Indirizzo: Piazza Bellini 3 Apertura al pubblico: Dal lunedì al sabato dalle ore 09:45 alle 13:00 e dalle ore 15:30 alle 17:30 Domenica dalle ore 09:00 alle 10:30 e dalle 11:45 alle 13:00 festivi infras. dalle 10.30 alle 12.30.
Sita nel cuore del centro storico, in Piazza Bellini, una delle più importanti piazze della città, da sempre uno dei punti focali della vita civile e religiosa di Palermo, da dove, straniero o palermitano prima o poi bisogna passare, si erge superba nella sua grande mole una delle chiese più belle della città uno degli esempi più imponenti, esuberanti e sensuali del barocco palermitano: La Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria La Storia La storia di questa chiesa è strettamente legata all’annesso monastero di clausura, la cui storia inizia nel settembre del 1310 quando una nobildonna palermitana Benvenuta Mastrangelo, figlia di Ruggero Mastrangelo, uno dei personaggi chiave della rivolta del Vespro e moglie, in seconde nozze, del toscano Guglielmo Aldobrandeschi conte Palatino di Santa Flora, rimasta vedova per la seconda volta e senza eredi, sentendosi vicina alla morte, detta le sue ultime volontà al notaio Guglielmo de Rogerio. La testatrice ordinò che nelle case di sua proprietà site nel quartiere del Cassaro nella contrada dove sorgono l’antica chiesa di San Matteo al Cassaro e la chiesa di S. Stefano dell’Ammiraglio, venisse fondato un monastero femminile sotto il controllo dei frati domenicani (un “monasterium totum monalium […] de ordine fratrum predicatorum” in “contrada Sancti Mathei”). Poco tempo dopo si ammalò anche la madre Palma de Magistro, esecutrice testamentaria di Benvenuta che, ottemperando alle ultime volontà della figlia, nominò erede universale di tutti i beni di famiglia il monastero di Santa Caterina al Cassaro. E’ interessante rammentare che anche il marito della fondatrice del monastero, conte di Santa Flora aveva lasciato ingenti somme di denaro alle suore del convento, tanto che nell’epigrafe del suo monumento sepolcrale, tuttora esistente nella chiesa, viene citato come “Fundatori Benemeritissimo” Infine anche la sorella di Ruggero Mastrangelo, Margherita, alla sua morte, avvenuta nel 1355, donava parte dei suoi beni, un cospicuo patrimonio immobiliare, al monastero di Santa Caterina. L’inizio della fabbrica risale presumibilmente al secondo semestre del 1312 dopo che venne reso esecutivo il testamento di Benvenuta Mastrangelo. Di certo sappiamo che il 5 novembre del 1313 viene nominato il primo priore del convento, Frà Giovanni de Milio. Il monastero sorse presso la punta orientale dell’antica Neapolis punica, in un’area piuttosto vasta dove già insistevano le case edificate attorno al duecento dai Mastrangelo che probabilmente avevano inglobato il palazzo un tempo appartenuto al grande ammiraglio Giorgio d’Antiochia. La fabbrica del monastero inglobò anche la chiesa di epoca normanna di S. Stefano dell’ammiraglio Eugenio sorta, a suo tempo a ridosso di una delle porte della città araba, la Bebilbacal, corruzione dell’arabo Ba’at al-buqul (venditore della verdura). Antiche mura in grossi blocchi di calcarenite sono ancora riconoscibili nella base esterna del monastero nella via Schioppiettieri, già via dei Balestrieri. Inizialmente il monastero fu soltanto un conservatorio che serviva ad ospitare donne dedite al meretricio “rifugio per peccatrici pentite”. Nei primi decenni del XVI secolo anche in rapporto all’accresciuto numero delle religiose, che pare, all’epoca fossero circa un centinaio, l’intera struttura fu interessata da consistenti trasformazioni (in questa occasione fu acquisita ed incorporata l’antica chiesa di San Matteo al Cassaro che era posta di fronte all’attuale) e divenne un regolare monastero, il più ricco e importante della città, riservato a fanciulle appartenenti a famiglie di alto lignaggio. Queste ragazze di “buona famiglia”, che monacandosi portavano in dote al monastero ingenti doti, venivano ammesse come educande in età giovanissima e al compimento del ventunesimo anno prendevano i voti. Praticamente “prigioniere per scelta” seppur di una prigione dorata, che le “sfortunate” fanciulle accettavano di buon grado: l’etica familiare, infatti, imponeva a ciascun membro della casa, primogeniti o cadetti, di accettare le scelte e le strategie matrimoniali della famiglia che erano sempre orientate dalla logica del lignaggio. Anche la monacazione forzata rientrava in queste strategie. Nella seconda metà del XVI secolo le religiose del convento di Santa Caterina al Cassaro decisero che l’antica chiesa trecentesca non era più adeguata alla magnificenza del monastero e quindi, con intenti di grandiosità, stabilirono di fabbricarne una più grande e più fastosa: l’attuale magnifica chiesa che oggi possiamo ammirare. Promotrice della costruzione della nuova chiesa fu l’ultima delle Badesse perpetue, suor Maria del Carretto dei conti di Racalmuto. Non si hanno notizie certe sul nome dell’architetto autore del progetto dell’edificio chiesastico. L’ipotesi avanzata da alcuni studiosi, che fosse stata realizzata su progetto dell’architetto piemontese Giorgio Di Faccio non trova riscontri, anche se non è possibile escludere del tutto la sua partecipazione al cantiere per la costruzione della chiesa. Parimenti non è escluso, anzi è assai probabile, che nel progetto siano state impegnate menti diverse. Studi recenti hanno dimostrato il coinvolgimento di due architetti attivi a Palermo tra la fine del cinquecento e i primi decenni del seicento, il fiorentino Camillo Camilliani, figlio di Francesco (lo scultore della fontana Pretoria) e il lombardo Antonio Muttone (quest’ultimo certamente impegnato nei lavori del monastero), tra gli architetti più in vista nel panorama architettonico della Sicilia dell’epoca. Purtroppo i dati a nostra disposizione sono ancora troppo vaghi e le informazioni che ci sono pervenute molto frammentarie. Il 24 di novembre del 1596 la nuova chiesa di Santa Caterina d’Alessandria venne inaugurata. La consacrazione dell’edificio religioso avvenne con una cerimonia solenne il 16 di marzo del 1664 celebrata dall’Arcivescovo metropolita di Palermo D. Pedro Martinez y Rubio alla presenza del vicerè Francesco Caetani duca di Sermoneta, delle maggiori autorità cittadine e con grande concorso di cittadini. La Chiesa La chiesa presenta due ingressi: il principale nella facciata meridionale prospiciente l’antico piano di San Cataldo, l’odierna piazza Bellini; l’altro rivolto ad occidente che si apre verso piazza Pretoria, denominata un tempo “Piano della Corte”. Entrambi hanno una bellissima scalinata a doppia rampa con balaustre in pietra che consente l’accesso dal piano della piazza alla chiesa. La facciata principale, equilibrata e razionale, realizzata in forme tardorinascimentali, presenta una spiccata spinta verticale e si sviluppa su due ordini sovrapposti, ritmati da una partitura di lesene d’ordine corinzio. Nel primo ordine spicca, al centro, un portale di derivazione gaginesca affiancato da due colonne scanalate con capitelli corinzi che sostengono un’architrave scolpito, sopra il quale, dentro una nicchia con timpano a edicola, nel 1685 fu collocata una statua raffigurante Santa Caterina. Collega i due ordini della facciata una ricca trabeazione decorata con eleganti figurazioni scultoree. Nell’ordine superiore due coppie di lesene inquadrano l’elegante finestra centrale che trafora la facciata. Ai fianchi le spirali di due coppie di piccole volute raccordano i contrafforti laterali con l’elegante frontone superiore che termina con un’aggettante cornice di coronamento, che in realtà, è una cornice marcapiano, dove corre una balconata che chiude un “affaccio” che domina la piazza. Sulla sommità dell’edificio si trova un medaglione che rappresenta i consueti attributi di Santa Caterina (la ruota, la palma, la spada e il giglio). Nel lungo prospetto che si affaccia su piazza Pretoria la superficie muraria è scandita verticalmente da robuste pseudo-paraste corinzie alternate a eleganti finestre. Al centro il bel portale di disegno tardo-cinquecentesco sormontato da timpano ad arco che corrisponde con il braccio sinistro del transetto della chiesa. Un’aggettante membratura decorata ha motivi floreali, collega i due ordini. L’ordine superiore presenta una decorazione a volute e una grande finestra sormontata da un timpano ad arco spezzato. Chiudono la facciata in alto, robusti contrafforti a riccio ricavati sui tetti delle cappelle laterali. L’interno del tempio rappresenta uno degli esempi più brillanti della cultura figurativa del barocco palermitano. Presenta un impianto a croce latina con andamento longitudinale ad unica navata, munito di un ampio transetto, nel tipico schema delle chiese romane della Controriforma. Sei cappelle, tre per lato, si aprono nei lati lunghi della navata. L’intero paramento murario, a cui lavorarono una folla di scultori, pittori, marmorari e stuccatori, è rivestito fino all’incredibile, di ogni sorta di marmi pregiati, stucchi e dipinti che creano un effetto di particolare fasto ed eleganza. Per ogni dove si stende un tripudio di marmi mischi e tramischi dai colori variopinti che esprime a pieno “l’horror vacui” tipico del decorativismo barocco. Stupefacenti decorazioni marmoree, apposte via via nel corso dei decenni, insieme ai dipinti delle volte, delle lunette e dei pennacchi, contribuiscono a creare quella “opulenza” quella sfarzosa ed esuberante cromia, che a volte appesantisce gli occhi, ma che certamente emana un fascino particolare. Alla realizzazione della complessa macchina decorativa e scenografica della chiesa, realizzata in diversi momenti cronologici che si scalano tra la seconda metà del seicento e i primi decenni del settecento, lavorarono le maggiori personalità artistiche del periodo: tra i quali i pittori Filippo Randazzo e Vito D’Anna, gli architetti Giacomo Amato, Nicolò Anito, Andrea Cirrincione, Andrea Palma, gli scultori Giovan Battista Ragusa, Ignazio Marabitti, Gioacchino Vitagliano e lo stuccatore Procopio Serpotta, per citare i più importanti. Varcato l’ingresso principale, nella parete di controfacciata, si incontra il “coro piccolo”, ampliato alla fine del seicento, coronato da balaustrine in marmo e tanto di “gelosia”, sorretto da due eleganti colonne tortili in pregiato marmo rosso con capitelli corinzi in marmo bianco. Fra le due colonne un’antiporta in legno traforato dipinta, opera di raffinata ebanisteria. Gli affreschi delle pareti del coro e del sottocoro di ingresso, sono stati eseguiti da Francesco Sozzi e dal cognato Alessandro D’Anna nel 1769 e rappresentano scene tratte dalla vita di Santa Caterina. La navata centrale è coperta da una volta a botte lunettata. La luce penetra sia dalla finestra di facciata, sia da quelle aperte sotto le lunette, sia dalle finestre ricavate nel tamburo della cupola che sovrasta il quadrato d’incrocio. Sulla volta centrale della navata, incorniciato da raffinati stucchi attribuiti a Procopio Serpotta, splende il settecentesco affresco del pittore Filippo Randazzo, detto il “Monocolo di Nicosia” che rappresenta la “Gloria di Santa Caterina” ( Agostino Gallo riferisce che il pittore morì poco dopo essere caduto dall’impalcatura mentre stava per completare questa straordinaria opera). Nelle pareti della navata, posti negli alti basamenti delle paraste che separano le cappelle, si trovano preziosi riquadri in marmi mischi, bassorilievi e altorilievi. Su tutti spicca il primo che si incontra a destra per chi entra, che raffigura la scena di uno dei più importanti episodi del vecchio testamento, ovvero, “Giona e la balena” dello scultore palermitano Giovan Battista Ragusa; un piccolo capolavoro. Al centro della scena troviamo raffigurato un veliero, realizzato con marmi particolarmente pregiati e pietre dure. in basso a destra il mostro marino, con la bocca spalancata; a sinistra Giona tra le onde che tenta disperatamente di salvarsi. Estremamente interessanti anche gli altri riquadri della parete destra che raffigurano episodi tratti dall’antico testamento, “il Sacrificio di Isacco” e “la Probatica Piscina”, dello scultore Gioacchino Vitagliano, opere di notevole effetto scenografico. Nei riquadri dei plinti della parete sinistra sono raffigurati, nel primo “ La Fons acquae purae”, mentre nel secondo e nel terzo, che delimitano la cappella del Rosario, sono raffigurati, sorretti da puttini, i simboli della famiglia Amato, artefici della realizzazione della cappella, Addossate alle pareti laterali, fra gli archi delle cappelle, si trovano sei pregevoli statue in marmo bianco che raffigurano sante e beate dell’ordine domenicano: a destra Santa Agnese da Montepulciano, Santa Caterina da Siena e Santa Caterina de Ricci, a sinistra, Beata Chiara di Maiorca, Beata Margherita d’Ungheria e Beata Giovanna del Portogallo. Al di sopra delle cappelle, incorniciate da eleganti cornici in stucco, si vedono le “gelosie” dei letterini delle monache. Le cappelle laterali, preziosi scrigni di opere d’arte, contengono una significativa antologia di pitture sei-sette-ottocentesche, alcune purtroppo, in pessimo stato di conservazione. Fianco destro La prima cappella che incontriamo, intitolata “Cappella dei sette dolori”, presenta dipinti di scuola napoletana; al centro del bellissimo altare decorato in marmi policromi, è il dipinto “Gesù sotto la Croce”, attribuito a Vincenzo Marchese. Nella parete destra la “Deposizione di Cristo”; nella parete sinistra vi era un dipinto che raffigurava “l’Ultima Cena”, attualmente in fase di restauro. La seconda cappella, intitolata al Santissimo Crocifisso, ospita, sopra l’altare affiancato da due angioletti, un crocifisso ligneo su un reliquario databile al secolo XVII. Si tratta di un manufatto policromo, modellato con grande realismo nella figura anatomica: colpisce l’espressione di dolore del volto di Cristo, marcata dagli occhi socchiusi e dai lineamenti ormai distesi nel momento della fine. Nella parte bassa, a sinistra, è collocato il monumento funebre in marmo bianco e grigio di Vincenzo Giglio. L’ultima cappella del lato destro, dedicata alla “Madonna del Carmine”, presenta la volta decorata da affreschi; al centro, sopra l’altare decorato con diaspri policromi, troviamo una grande tela raffigurante la “Madonna del Carmelo e San Reginaldo d’Orleans”, del palermitano Giovanni Patricolo. Ai lati dell’altare due statue marmoree di “Santa Rosalia” e “San Gioacchino con Maria bambina”. Nella parete di destra, dentro una cornice in gesso vi è una “Trasfigurazione” e a sinistra “La Vergine che intercede per le anime purganti”; la cappella accoglie il sarcofago funerario in marmi policromi appartenente alla ricca famiglia dei Mastrantonio e Bardi. Fianco sinistro Sull’altare della prima campata di sinistra, dedicata all’Immacolata, possiamo ammirare, dentro un’edicola con timpano spezzato, il dipinto “ dell’Immacolata” di Filippo Randazzo. Nella parete destra il quadro con l’Adorazione dei pastori a sinistra la Nascita della Madonna. La volta è affrescata con una raffigurazione della SS. Trinità. La cappella che segue è dedicata al SS. Rosario e presenta nell’altare un dipinto che raffigura la “Madonna che consegna il Rosario a San Domenico”, attribuita a Giovanni Patricolo. Ai lati del paliotto d’altare decorato con diaspri policromi e bronzo dorato, due statue in marmo che raffigurano San Ludovico e Sant’Antonino. Nelle pareti laterali due tele attribuite al monrealese Pietro Novelli; a destra “Pio V benedice Gian Andrea Doria” e a sinistra “La Vergine col Bambino in gloria”. Nell’ultima campata di sinistra, dedicata a San Domenico, si conserva sull’altare il dipinto raffigurante “San Domenico che sconfigge gli Albigesi”, anche questo attribuito al Patricolo. Sulle pareti laterali, dentro cornici in gesso, due quadroni che raffigurano, a destra La Madonna con i santi Francesco e Domenico, a sinistra San Domenico che salva il Vangelo dal fuoco, pregevoli opere eseguite da Gaspare Vazzano, detto lo Zoppo di Gangi. Il Transetto Nel braccio destro del transetto, si trova il sontuoso altare (commissionato dalla famiglia Bonanno) dedicato alla santa titolare della chiesa. Una macchina barocca di straordinario effetto scenografico. Presenta un doppio ordine di colonne scanalate e tortili eseguita su disegno di Andrea Palma, architetto delle fabbriche dell’ordine domenicano; al centro la statua marmorea di Santa Caterina, opera straordinaria del 1534, della bottega di Antonello Gagini, proveniente dall’antica chiesa; commissionata nel 1534 dall’allora badessa Elisabetta Bononia. L’altare è affiancato da due statue muliebri che rappresentano la Fortezza e la Pudicizia modellate da Giovan Battista Ragusa. In alto, al centro del timpano spezzato, il gruppo marmoreo raffigurante la Gloria con il Dio Padre e gli Angeli musicanti dello stesso Ragusa. Nel paliotto dell’altare una “Vergine dormiente” in cera. Incassato nella parete destra si trova il monumento funerario di Guglielmo Aldobrandeschi conte di Santa Flora. Nel braccio sinistro del transetto si trova il portale d’ingresso che si affaccia su piazza Pretoria. Davanti al portone si trova una antiporta di legno scolpito e dipinto. Agli angoli si trovano due coretti e sotto, un pregevole pulpito in legno intagliato dipinto e dorato. La Cupola di Santa Caterina Sovrasta il quadrato d’incrocio la maestosa cupola di impronta manieristico-romana, realizzata a metà settecento su progetto di Francesco Ferrigno, architetto di fiducia del Monastero. Essa all’esterno, domina lo spazio di piazza Pretoria contrapponendosi alla alla cupola di San Giuseppe dei Teatini. Gli affreschi che la decorano, “Il Trionfo dell’Ordine domenicano” e quelli delle vele, “le Allegorie dei quattro Continenti“, sono stati eseguiti nel 1751 dal grande affrescatore Vito D’Anna. Addossati ai pilastri che sorreggono la cupola si trovano quattro sculture che raffigurano santi domenicani, San Domenico, San Tommaso d’Aquino, San Pietro Martire e San Vincenzo Ferrer, raffinate opere di Giuseppe e Giovan Battista Ragusa su disegno di Andrea Palma del 1702. La zona Presbiterale In fondo alla navata si apre lo spettacolare altare maggiore, arricchito dal prezioso paliotto in materiali preziosi, che risplende come un gioiello al centro del grande presbiterio. Un prezioso tabernacolo di ametista è affiancato da due grandi angeli lignei ricoperti da lamine d’argento, inginocchiati su due larghe volute di marmo verde. Sopra il tabernacolo. all’interno di un tempietto con colonne in lapislazzuli su cui si appoggiano due angeli e due cherubini, che sostengono una cupoletta in rame dorato, vi era custodito un raffinatissimo crocifisso in avorio, oggi sostituito da una statuetta del Cristo Risorto. L’altare è addobbato da raffinati candelabri in argento e da candelieri in legno intagliato. La sfarzosa decorazione del presbiterio, iniziata a partire dal 1705, grazie al cospicuo lascito testamentario di suor Vittoria Felicita Cottone, da Giovan Battista Marino su disegni di Giacomo Amato, fu terminata soltanto nel 1726 dai figli del Marino, Gaspare e Antonino. Nel bellissimo pavimento del presbiterio si possono ancora ammirare alcuni brani di mosaici antichi, probabilmente riferibili all’antica pavimentazione dell’antica chiesa normanna di Santo Stefano inglobata nella struttura della chiesa. Dietro l’altare si trova il sepolcro in marmo della badessa Maria del Carretto, artefice della costruzione della chiesa, morta nel 1598. La volta del presbiterio presenta un pregevole affresco raffigurante “L’Anima in gloria ascende in Paradiso” dei noti pittori messinesi Paolo e Antonio Filocamo. La zona presbiterale, come tutte le cappelle laterali, è chiusa da una balaustra in marmi policromi con un piccolo cancelletto in ferro battuto al centro. Assolutamente pregevole la pavimentazione in marmo e tarsie marmoree policrome dell’aula centrale, rifatta nella prima metà del XIX secolo. In corrispondenza dell’incrocio dei bracci del transetto, dentro un tondo, possiamo ammirare la raffigurazione del “Cane che serra fra i denti una fiaccola”, simbolo dell’ordine Domenicano, opera del maestro marmista Giovanbattista Gallina, su probabile disegno di Giovanni Patricolo 1836. La chiesa di Santa Caterina è famosa per i cosiddetti «Sepolcri» che si addobbano la sera del Giovedì Santo e per le specialità dolciarie siciliane che un tempo venivano prodotte dalle suore di clausura del convento e che ancora oggi vengono realizzati secondo le antiche ricette, ovviamente non più dalle monache. Apertura: tutti i giorni dalle 10:00 alle 18:00
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Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria
1 Piazza Bellini
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Sita nel cuore del centro storico, in Piazza Bellini, una delle più importanti piazze della città, da sempre uno dei punti focali della vita civile e religiosa di Palermo, da dove, straniero o palermitano prima o poi bisogna passare, si erge superba nella sua grande mole una delle chiese più belle della città uno degli esempi più imponenti, esuberanti e sensuali del barocco palermitano: La Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria La Storia La storia di questa chiesa è strettamente legata all’annesso monastero di clausura, la cui storia inizia nel settembre del 1310 quando una nobildonna palermitana Benvenuta Mastrangelo, figlia di Ruggero Mastrangelo, uno dei personaggi chiave della rivolta del Vespro e moglie, in seconde nozze, del toscano Guglielmo Aldobrandeschi conte Palatino di Santa Flora, rimasta vedova per la seconda volta e senza eredi, sentendosi vicina alla morte, detta le sue ultime volontà al notaio Guglielmo de Rogerio. La testatrice ordinò che nelle case di sua proprietà site nel quartiere del Cassaro nella contrada dove sorgono l’antica chiesa di San Matteo al Cassaro e la chiesa di S. Stefano dell’Ammiraglio, venisse fondato un monastero femminile sotto il controllo dei frati domenicani (un “monasterium totum monalium […] de ordine fratrum predicatorum” in “contrada Sancti Mathei”). Poco tempo dopo si ammalò anche la madre Palma de Magistro, esecutrice testamentaria di Benvenuta che, ottemperando alle ultime volontà della figlia, nominò erede universale di tutti i beni di famiglia il monastero di Santa Caterina al Cassaro. E’ interessante rammentare che anche il marito della fondatrice del monastero, conte di Santa Flora aveva lasciato ingenti somme di denaro alle suore del convento, tanto che nell’epigrafe del suo monumento sepolcrale, tuttora esistente nella chiesa, viene citato come “Fundatori Benemeritissimo” Infine anche la sorella di Ruggero Mastrangelo, Margherita, alla sua morte, avvenuta nel 1355, donava parte dei suoi beni, un cospicuo patrimonio immobiliare, al monastero di Santa Caterina. L’inizio della fabbrica risale presumibilmente al secondo semestre del 1312 dopo che venne reso esecutivo il testamento di Benvenuta Mastrangelo. Di certo sappiamo che il 5 novembre del 1313 viene nominato il primo priore del convento, Frà Giovanni de Milio. Il monastero sorse presso la punta orientale dell’antica Neapolis punica, in un’area piuttosto vasta dove già insistevano le case edificate attorno al duecento dai Mastrangelo che probabilmente avevano inglobato il palazzo un tempo appartenuto al grande ammiraglio Giorgio d’Antiochia. La fabbrica del monastero inglobò anche la chiesa di epoca normanna di S. Stefano dell’ammiraglio Eugenio sorta, a suo tempo a ridosso di una delle porte della città araba, la Bebilbacal, corruzione dell’arabo Ba’at al-buqul (venditore della verdura). Antiche mura in grossi blocchi di calcarenite sono ancora riconoscibili nella base esterna del monastero nella via Schioppiettieri, già via dei Balestrieri. Inizialmente il monastero fu soltanto un conservatorio che serviva ad ospitare donne dedite al meretricio “rifugio per peccatrici pentite”. Nei primi decenni del XVI secolo anche in rapporto all’accresciuto numero delle religiose, che pare, all’epoca fossero circa un centinaio, l’intera struttura fu interessata da consistenti trasformazioni (in questa occasione fu acquisita ed incorporata l’antica chiesa di San Matteo al Cassaro che era posta di fronte all’attuale) e divenne un regolare monastero, il più ricco e importante della città, riservato a fanciulle appartenenti a famiglie di alto lignaggio. Queste ragazze di “buona famiglia”, che monacandosi portavano in dote al monastero ingenti doti, venivano ammesse come educande in età giovanissima e al compimento del ventunesimo anno prendevano i voti. Praticamente “prigioniere per scelta” seppur di una prigione dorata, che le “sfortunate” fanciulle accettavano di buon grado: l’etica familiare, infatti, imponeva a ciascun membro della casa, primogeniti o cadetti, di accettare le scelte e le strategie matrimoniali della famiglia che erano sempre orientate dalla logica del lignaggio. Anche la monacazione forzata rientrava in queste strategie. Nella seconda metà del XVI secolo le religiose del convento di Santa Caterina al Cassaro decisero che l’antica chiesa trecentesca non era più adeguata alla magnificenza del monastero e quindi, con intenti di grandiosità, stabilirono di fabbricarne una più grande e più fastosa: l’attuale magnifica chiesa che oggi possiamo ammirare. Promotrice della costruzione della nuova chiesa fu l’ultima delle Badesse perpetue, suor Maria del Carretto dei conti di Racalmuto. Non si hanno notizie certe sul nome dell’architetto autore del progetto dell’edificio chiesastico. L’ipotesi avanzata da alcuni studiosi, che fosse stata realizzata su progetto dell’architetto piemontese Giorgio Di Faccio non trova riscontri, anche se non è possibile escludere del tutto la sua partecipazione al cantiere per la costruzione della chiesa. Parimenti non è escluso, anzi è assai probabile, che nel progetto siano state impegnate menti diverse. Studi recenti hanno dimostrato il coinvolgimento di due architetti attivi a Palermo tra la fine del cinquecento e i primi decenni del seicento, il fiorentino Camillo Camilliani, figlio di Francesco (lo scultore della fontana Pretoria) e il lombardo Antonio Muttone (quest’ultimo certamente impegnato nei lavori del monastero), tra gli architetti più in vista nel panorama architettonico della Sicilia dell’epoca. Purtroppo i dati a nostra disposizione sono ancora troppo vaghi e le informazioni che ci sono pervenute molto frammentarie. Il 24 di novembre del 1596 la nuova chiesa di Santa Caterina d’Alessandria venne inaugurata. La consacrazione dell’edificio religioso avvenne con una cerimonia solenne il 16 di marzo del 1664 celebrata dall’Arcivescovo metropolita di Palermo D. Pedro Martinez y Rubio alla presenza del vicerè Francesco Caetani duca di Sermoneta, delle maggiori autorità cittadine e con grande concorso di cittadini. La Chiesa La chiesa presenta due ingressi: il principale nella facciata meridionale prospiciente l’antico piano di San Cataldo, l’odierna piazza Bellini; l’altro rivolto ad occidente che si apre verso piazza Pretoria, denominata un tempo “Piano della Corte”. Entrambi hanno una bellissima scalinata a doppia rampa con balaustre in pietra che consente l’accesso dal piano della piazza alla chiesa. La facciata principale, equilibrata e razionale, realizzata in forme tardorinascimentali, presenta una spiccata spinta verticale e si sviluppa su due ordini sovrapposti, ritmati da una partitura di lesene d’ordine corinzio. Nel primo ordine spicca, al centro, un portale di derivazione gaginesca affiancato da due colonne scanalate con capitelli corinzi che sostengono un’architrave scolpito, sopra il quale, dentro una nicchia con timpano a edicola, nel 1685 fu collocata una statua raffigurante Santa Caterina. Collega i due ordini della facciata una ricca trabeazione decorata con eleganti figurazioni scultoree. Nell’ordine superiore due coppie di lesene inquadrano l’elegante finestra centrale che trafora la facciata. Ai fianchi le spirali di due coppie di piccole volute raccordano i contrafforti laterali con l’elegante frontone superiore che termina con un’aggettante cornice di coronamento, che in realtà, è una cornice marcapiano, dove corre una balconata che chiude un “affaccio” che domina la piazza. Sulla sommità dell’edificio si trova un medaglione che rappresenta i consueti attributi di Santa Caterina (la ruota, la palma, la spada e il giglio). Nel lungo prospetto che si affaccia su piazza Pretoria la superficie muraria è scandita verticalmente da robuste pseudo-paraste corinzie alternate a eleganti finestre. Al centro il bel portale di disegno tardo-cinquecentesco sormontato da timpano ad arco che corrisponde con il braccio sinistro del transetto della chiesa. Un’aggettante membratura decorata ha motivi floreali, collega i due ordini. L’ordine superiore presenta una decorazione a volute e una grande finestra sormontata da un timpano ad arco spezzato. Chiudono la facciata in alto, robusti contrafforti a riccio ricavati sui tetti delle cappelle laterali. L’interno del tempio rappresenta uno degli esempi più brillanti della cultura figurativa del barocco palermitano. Presenta un impianto a croce latina con andamento longitudinale ad unica navata, munito di un ampio transetto, nel tipico schema delle chiese romane della Controriforma. Sei cappelle, tre per lato, si aprono nei lati lunghi della navata. L’intero paramento murario, a cui lavorarono una folla di scultori, pittori, marmorari e stuccatori, è rivestito fino all’incredibile, di ogni sorta di marmi pregiati, stucchi e dipinti che creano un effetto di particolare fasto ed eleganza. Per ogni dove si stende un tripudio di marmi mischi e tramischi dai colori variopinti che esprime a pieno “l’horror vacui” tipico del decorativismo barocco. Stupefacenti decorazioni marmoree, apposte via via nel corso dei decenni, insieme ai dipinti delle volte, delle lunette e dei pennacchi, contribuiscono a creare quella “opulenza” quella sfarzosa ed esuberante cromia, che a volte appesantisce gli occhi, ma che certamente emana un fascino particolare. Alla realizzazione della complessa macchina decorativa e scenografica della chiesa, realizzata in diversi momenti cronologici che si scalano tra la seconda metà del seicento e i primi decenni del settecento, lavorarono le maggiori personalità artistiche del periodo: tra i quali i pittori Filippo Randazzo e Vito D’Anna, gli architetti Giacomo Amato, Nicolò Anito, Andrea Cirrincione, Andrea Palma, gli scultori Giovan Battista Ragusa, Ignazio Marabitti, Gioacchino Vitagliano e lo stuccatore Procopio Serpotta, per citare i più importanti. Varcato l’ingresso principale, nella parete di controfacciata, si incontra il “coro piccolo”, ampliato alla fine del seicento, coronato da balaustrine in marmo e tanto di “gelosia”, sorretto da due eleganti colonne tortili in pregiato marmo rosso con capitelli corinzi in marmo bianco. Fra le due colonne un’antiporta in legno traforato dipinta, opera di raffinata ebanisteria. Gli affreschi delle pareti del coro e del sottocoro di ingresso, sono stati eseguiti da Francesco Sozzi e dal cognato Alessandro D’Anna nel 1769 e rappresentano scene tratte dalla vita di Santa Caterina. La navata centrale è coperta da una volta a botte lunettata. La luce penetra sia dalla finestra di facciata, sia da quelle aperte sotto le lunette, sia dalle finestre ricavate nel tamburo della cupola che sovrasta il quadrato d’incrocio. Sulla volta centrale della navata, incorniciato da raffinati stucchi attribuiti a Procopio Serpotta, splende il settecentesco affresco del pittore Filippo Randazzo, detto il “Monocolo di Nicosia” che rappresenta la “Gloria di Santa Caterina” ( Agostino Gallo riferisce che il pittore morì poco dopo essere caduto dall’impalcatura mentre stava per completare questa straordinaria opera). Nelle pareti della navata, posti negli alti basamenti delle paraste che separano le cappelle, si trovano preziosi riquadri in marmi mischi, bassorilievi e altorilievi. Su tutti spicca il primo che si incontra a destra per chi entra, che raffigura la scena di uno dei più importanti episodi del vecchio testamento, ovvero, “Giona e la balena” dello scultore palermitano Giovan Battista Ragusa; un piccolo capolavoro. Al centro della scena troviamo raffigurato un veliero, realizzato con marmi particolarmente pregiati e pietre dure. in basso a destra il mostro marino, con la bocca spalancata; a sinistra Giona tra le onde che tenta disperatamente di salvarsi. Estremamente interessanti anche gli altri riquadri della parete destra che raffigurano episodi tratti dall’antico testamento, “il Sacrificio di Isacco” e “la Probatica Piscina”, dello scultore Gioacchino Vitagliano, opere di notevole effetto scenografico. Nei riquadri dei plinti della parete sinistra sono raffigurati, nel primo “ La Fons acquae purae”, mentre nel secondo e nel terzo, che delimitano la cappella del Rosario, sono raffigurati, sorretti da puttini, i simboli della famiglia Amato, artefici della realizzazione della cappella, Addossate alle pareti laterali, fra gli archi delle cappelle, si trovano sei pregevoli statue in marmo bianco che raffigurano sante e beate dell’ordine domenicano: a destra Santa Agnese da Montepulciano, Santa Caterina da Siena e Santa Caterina de Ricci, a sinistra, Beata Chiara di Maiorca, Beata Margherita d’Ungheria e Beata Giovanna del Portogallo. Al di sopra delle cappelle, incorniciate da eleganti cornici in stucco, si vedono le “gelosie” dei letterini delle monache. Le cappelle laterali, preziosi scrigni di opere d’arte, contengono una significativa antologia di pitture sei-sette-ottocentesche, alcune purtroppo, in pessimo stato di conservazione. Fianco destro La prima cappella che incontriamo, intitolata “Cappella dei sette dolori”, presenta dipinti di scuola napoletana; al centro del bellissimo altare decorato in marmi policromi, è il dipinto “Gesù sotto la Croce”, attribuito a Vincenzo Marchese. Nella parete destra la “Deposizione di Cristo”; nella parete sinistra vi era un dipinto che raffigurava “l’Ultima Cena”, attualmente in fase di restauro. La seconda cappella, intitolata al Santissimo Crocifisso, ospita, sopra l’altare affiancato da due angioletti, un crocifisso ligneo su un reliquario databile al secolo XVII. Si tratta di un manufatto policromo, modellato con grande realismo nella figura anatomica: colpisce l’espressione di dolore del volto di Cristo, marcata dagli occhi socchiusi e dai lineamenti ormai distesi nel momento della fine. Nella parte bassa, a sinistra, è collocato il monumento funebre in marmo bianco e grigio di Vincenzo Giglio. L’ultima cappella del lato destro, dedicata alla “Madonna del Carmine”, presenta la volta decorata da affreschi; al centro, sopra l’altare decorato con diaspri policromi, troviamo una grande tela raffigurante la “Madonna del Carmelo e San Reginaldo d’Orleans”, del palermitano Giovanni Patricolo. Ai lati dell’altare due statue marmoree di “Santa Rosalia” e “San Gioacchino con Maria bambina”. Nella parete di destra, dentro una cornice in gesso vi è una “Trasfigurazione” e a sinistra “La Vergine che intercede per le anime purganti”; la cappella accoglie il sarcofago funerario in marmi policromi appartenente alla ricca famiglia dei Mastrantonio e Bardi. Fianco sinistro Sull’altare della prima campata di sinistra, dedicata all’Immacolata, possiamo ammirare, dentro un’edicola con timpano spezzato, il dipinto “ dell’Immacolata” di Filippo Randazzo. Nella parete destra il quadro con l’Adorazione dei pastori a sinistra la Nascita della Madonna. La volta è affrescata con una raffigurazione della SS. Trinità. La cappella che segue è dedicata al SS. Rosario e presenta nell’altare un dipinto che raffigura la “Madonna che consegna il Rosario a San Domenico”, attribuita a Giovanni Patricolo. Ai lati del paliotto d’altare decorato con diaspri policromi e bronzo dorato, due statue in marmo che raffigurano San Ludovico e Sant’Antonino. Nelle pareti laterali due tele attribuite al monrealese Pietro Novelli; a destra “Pio V benedice Gian Andrea Doria” e a sinistra “La Vergine col Bambino in gloria”. Nell’ultima campata di sinistra, dedicata a San Domenico, si conserva sull’altare il dipinto raffigurante “San Domenico che sconfigge gli Albigesi”, anche questo attribuito al Patricolo. Sulle pareti laterali, dentro cornici in gesso, due quadroni che raffigurano, a destra La Madonna con i santi Francesco e Domenico, a sinistra San Domenico che salva il Vangelo dal fuoco, pregevoli opere eseguite da Gaspare Vazzano, detto lo Zoppo di Gangi. Il Transetto Nel braccio destro del transetto, si trova il sontuoso altare (commissionato dalla famiglia Bonanno) dedicato alla santa titolare della chiesa. Una macchina barocca di straordinario effetto scenografico. Presenta un doppio ordine di colonne scanalate e tortili eseguita su disegno di Andrea Palma, architetto delle fabbriche dell’ordine domenicano; al centro la statua marmorea di Santa Caterina, opera straordinaria del 1534, della bottega di Antonello Gagini, proveniente dall’antica chiesa; commissionata nel 1534 dall’allora badessa Elisabetta Bononia. L’altare è affiancato da due statue muliebri che rappresentano la Fortezza e la Pudicizia modellate da Giovan Battista Ragusa. In alto, al centro del timpano spezzato, il gruppo marmoreo raffigurante la Gloria con il Dio Padre e gli Angeli musicanti dello stesso Ragusa. Nel paliotto dell’altare una “Vergine dormiente” in cera. Incassato nella parete destra si trova il monumento funerario di Guglielmo Aldobrandeschi conte di Santa Flora. Nel braccio sinistro del transetto si trova il portale d’ingresso che si affaccia su piazza Pretoria. Davanti al portone si trova una antiporta di legno scolpito e dipinto. Agli angoli si trovano due coretti e sotto, un pregevole pulpito in legno intagliato dipinto e dorato. La Cupola di Santa Caterina Sovrasta il quadrato d’incrocio la maestosa cupola di impronta manieristico-romana, realizzata a metà settecento su progetto di Francesco Ferrigno, architetto di fiducia del Monastero. Essa all’esterno, domina lo spazio di piazza Pretoria contrapponendosi alla alla cupola di San Giuseppe dei Teatini. Gli affreschi che la decorano, “Il Trionfo dell’Ordine domenicano” e quelli delle vele, “le Allegorie dei quattro Continenti“, sono stati eseguiti nel 1751 dal grande affrescatore Vito D’Anna. Addossati ai pilastri che sorreggono la cupola si trovano quattro sculture che raffigurano santi domenicani, San Domenico, San Tommaso d’Aquino, San Pietro Martire e San Vincenzo Ferrer, raffinate opere di Giuseppe e Giovan Battista Ragusa su disegno di Andrea Palma del 1702. La zona Presbiterale In fondo alla navata si apre lo spettacolare altare maggiore, arricchito dal prezioso paliotto in materiali preziosi, che risplende come un gioiello al centro del grande presbiterio. Un prezioso tabernacolo di ametista è affiancato da due grandi angeli lignei ricoperti da lamine d’argento, inginocchiati su due larghe volute di marmo verde. Sopra il tabernacolo. all’interno di un tempietto con colonne in lapislazzuli su cui si appoggiano due angeli e due cherubini, che sostengono una cupoletta in rame dorato, vi era custodito un raffinatissimo crocifisso in avorio, oggi sostituito da una statuetta del Cristo Risorto. L’altare è addobbato da raffinati candelabri in argento e da candelieri in legno intagliato. La sfarzosa decorazione del presbiterio, iniziata a partire dal 1705, grazie al cospicuo lascito testamentario di suor Vittoria Felicita Cottone, da Giovan Battista Marino su disegni di Giacomo Amato, fu terminata soltanto nel 1726 dai figli del Marino, Gaspare e Antonino. Nel bellissimo pavimento del presbiterio si possono ancora ammirare alcuni brani di mosaici antichi, probabilmente riferibili all’antica pavimentazione dell’antica chiesa normanna di Santo Stefano inglobata nella struttura della chiesa. Dietro l’altare si trova il sepolcro in marmo della badessa Maria del Carretto, artefice della costruzione della chiesa, morta nel 1598. La volta del presbiterio presenta un pregevole affresco raffigurante “L’Anima in gloria ascende in Paradiso” dei noti pittori messinesi Paolo e Antonio Filocamo. La zona presbiterale, come tutte le cappelle laterali, è chiusa da una balaustra in marmi policromi con un piccolo cancelletto in ferro battuto al centro. Assolutamente pregevole la pavimentazione in marmo e tarsie marmoree policrome dell’aula centrale, rifatta nella prima metà del XIX secolo. In corrispondenza dell’incrocio dei bracci del transetto, dentro un tondo, possiamo ammirare la raffigurazione del “Cane che serra fra i denti una fiaccola”, simbolo dell’ordine Domenicano, opera del maestro marmista Giovanbattista Gallina, su probabile disegno di Giovanni Patricolo 1836. La chiesa di Santa Caterina è famosa per i cosiddetti «Sepolcri» che si addobbano la sera del Giovedì Santo e per le specialità dolciarie siciliane che un tempo venivano prodotte dalle suore di clausura del convento e che ancora oggi vengono realizzati secondo le antiche ricette, ovviamente non più dalle monache. Apertura: tutti i giorni dalle 10:00 alle 18:00
Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele, meglio noto come Teatro Massimo, di Palermo è il più grande edificio teatrale lirico d'Italia, e uno dei più grandi d'Europa, terzo per ordine di grandezza architettonica dopo l'Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Ambienti di rappresentanza, sale, gallerie e scale monumentali circondano il teatro vero e proprio, formando un complesso architettonico di grandiose proporzioni. Per il teatro fu scelta un’area posta tra il nucleo antico della città e la nuova espansione settentrionale, quasi a voler sancire la continuità storica tra le due zone. Il teatro si fece posto tra gli antichi quartieri attraverso radicali demolizioni che interessarono, oltre a tratti della cinta muraria, il quartiere degli aragonesi, ad occidente, ed i complessi monastici di S. Giuliano e delle Stimmate. Il progetto vincitore del concorso, bandito nel 1864, fu quello di Giovan Battista Filippo Basile. Il teatro Massimo Vittorio Emanuele copre un’area di mq 7.730 ed è stimato il terzo teatro in Europa per estensione, dopo l’Operà National di Parigi e il Wiener Staatsoper di Vienna, capacità e requisiti tecnici. L’ingresso è caratterizzato da un colonnato esastilo su una monumentale gradinata; sulle sponde delle scale sono due opere in bronzo che rappresentano la Tragedia, di Benedetto Civiletti, e la Lirica, di Mario Rutelli. Compositamente il teatro presenta un corpo a due piani, disposto attorno alla sala, dietro cui si sviluppa il palcoscenico; due vestiboli circolari sporgono lateralmente. La sala, coperta da cupola, ed il palco, con tetto a falde, si innalzano esibendo la loro autonomia formale rispetto al contesto dell’edificio. La monumentalità dell’organismo architettonico fu assicurata dalla scelta dello stile classico “corinzio-italico”. Il teatro fu compiuto in più di vent’anni, dal 1875 al 1897; morto il progettista nel 1891, l’opera venne ultimata dal figlio Ernesto Basile a cui si deve la definizione esterna e la direzione delle opere di finitura interna. Queste comprendono l’arredo del vasto vestibolo d’ingresso, dove è posto il busto di Vincenzo Bellini, il fastoso allestimento del palco reale, della sala e dei cinque ordini di palchi. La volta della sala fu affrescata da Ettore De Maria Bergler e Rocco Lentini. Nel 1997 venne riaperto dopo un lunghissimo periodo d'abbandono iniziato nel 1974 per motivi di restauro procrastinato. Nel 1990 il teatro è stato lo scenario di alcune riprese del film Il padrino - Parte III di Francis Ford Coppola, con Al Pacino, in cui il Padrino Michael Corleone si reca a Palermo per assistere al debutto del figlio nella Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.
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Teatro Massimo
Piazza Giuseppe Verdi
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Il Teatro Massimo Vittorio Emanuele, meglio noto come Teatro Massimo, di Palermo è il più grande edificio teatrale lirico d'Italia, e uno dei più grandi d'Europa, terzo per ordine di grandezza architettonica dopo l'Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Ambienti di rappresentanza, sale, gallerie e scale monumentali circondano il teatro vero e proprio, formando un complesso architettonico di grandiose proporzioni. Per il teatro fu scelta un’area posta tra il nucleo antico della città e la nuova espansione settentrionale, quasi a voler sancire la continuità storica tra le due zone. Il teatro si fece posto tra gli antichi quartieri attraverso radicali demolizioni che interessarono, oltre a tratti della cinta muraria, il quartiere degli aragonesi, ad occidente, ed i complessi monastici di S. Giuliano e delle Stimmate. Il progetto vincitore del concorso, bandito nel 1864, fu quello di Giovan Battista Filippo Basile. Il teatro Massimo Vittorio Emanuele copre un’area di mq 7.730 ed è stimato il terzo teatro in Europa per estensione, dopo l’Operà National di Parigi e il Wiener Staatsoper di Vienna, capacità e requisiti tecnici. L’ingresso è caratterizzato da un colonnato esastilo su una monumentale gradinata; sulle sponde delle scale sono due opere in bronzo che rappresentano la Tragedia, di Benedetto Civiletti, e la Lirica, di Mario Rutelli. Compositamente il teatro presenta un corpo a due piani, disposto attorno alla sala, dietro cui si sviluppa il palcoscenico; due vestiboli circolari sporgono lateralmente. La sala, coperta da cupola, ed il palco, con tetto a falde, si innalzano esibendo la loro autonomia formale rispetto al contesto dell’edificio. La monumentalità dell’organismo architettonico fu assicurata dalla scelta dello stile classico “corinzio-italico”. Il teatro fu compiuto in più di vent’anni, dal 1875 al 1897; morto il progettista nel 1891, l’opera venne ultimata dal figlio Ernesto Basile a cui si deve la definizione esterna e la direzione delle opere di finitura interna. Queste comprendono l’arredo del vasto vestibolo d’ingresso, dove è posto il busto di Vincenzo Bellini, il fastoso allestimento del palco reale, della sala e dei cinque ordini di palchi. La volta della sala fu affrescata da Ettore De Maria Bergler e Rocco Lentini. Nel 1997 venne riaperto dopo un lunghissimo periodo d'abbandono iniziato nel 1974 per motivi di restauro procrastinato. Nel 1990 il teatro è stato lo scenario di alcune riprese del film Il padrino - Parte III di Francis Ford Coppola, con Al Pacino, in cui il Padrino Michael Corleone si reca a Palermo per assistere al debutto del figlio nella Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni.
Il teatro Politeama Garibaldi di Palermo, progettato dall’architetto Giuseppe Damiani Almejda è un armonioso e imponente edificio di stile pompeiano che si trova in piazza Ruggero Settimo, una delle piazze più belle e vivaci della città. Nella seconda metà del XIX secolo l’avvento della nuova borghesia alla ribalta della vita politica e sociale portò con sé nuove esigenze, a soddisfare le quali, si cominciarono a costruire decorosi quartieri oltre le mura, e si progettarono nel cuore della città grandi teatri cittadini: anche per sopperire alle deficienze dimensionali e strutturali dei quattro teatri stabili allora esistenti a Palermo: il teatro Carolino (già S. Lucia poi Bellini), il Santa Cecilia, il San Ferdinando e il Sant’ Anna. Il teatro Politeama è stato il primo in ordine di tempo a sorgere nella città nuova, infatti la sua costruzione inizia, nel 1867, quasi in concomitanza con la fabbrica del teatro Massimo e si conclude nel 1891 per volontà dell’amministrazione comunale della città. Sembra che il Damiani Almejda, giovane e geniale architetto di origini campane, avesse redatto già verso la metà del 1863, un progetto di massima per la realizzazione di un teatro politeama (cioè destinato a molteplici generi di spettacoli) a Palermo, all’interno di una sorta di concorso riservato ad alcuni tecnici incaricati dal sindaco Mariano Stabile. Il disegno del Damiani fu giudicato “incomparabilmente il migliore” e, in seguito a ciò, il nuovo sindaco Antonio Starabba marchese di Rudinì in accordo con il barone Angelo Porcari della Regia Accademia delle Belle Arti, incaricò il giovane architetto di definire la progettazione per la realizzazione del nuovo teatro palermitano. In definitiva, con la costruzione di un teatro politeama, l’amministrazione della città intendeva allineare Palermo al resto dell’Europa proponendo una tipologia architettonica per un genere di spettacolo nuovo, che mancava alla città. Il teatro Politeama domina con la sua elegante struttura circolare piazza Ruggero Settimo, un doppio portico scandito da una serie di colonne di stile ionico e dorico caratterizza l’esterno del monumentale edificio che culmina nell’incantevole ingresso a forma di “Arco di Trionfo” circondato da due maestosi candelabri e sormontato da una superba quadriga di bronzo. La magnifica quadriga, nota anche come “Trionfo di Apollo e Euterpe” è opera raffinatissima dello scultore Mario Rutelli; ai lati è affiancata da due statue equestri che raffigurano una coppia di cavalieri su due destrieri impennati, modellati da Benedetto Civiletti maestro del Rutelli. A lungo la quadriga rimase un monumento di cemento posato a terra nella piazza lontana dal tetto del teatro dove verrà collocata soltanto nell’aprile del 1930 quando lasciato lo stato provvisorio del cemento diventa bronzea. Quando il teatro venne inaugurato, il 7 giugno del 1874, con l’opera “i Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini si presentava ancora incompleto nelle decorazioni interne ed esterne, era privo dei pavimenti, delle porte, del tavolato scenico, dei camerini, delle quinte e soprattutto della copertura (questo fatto è stato erroneamente interpretato come una precisa volontà progettuale dell’architetto che in realtà l’aveva prevista già nel suo progetto originario). Insomma era un vero e proprio cantiere, ostacolato tra l’altro, da problemi di natura economica, tuttavia l’allora sindaco Emanuele Notarbartolo di S. Giovanni volle a tutti i costi che fosse inaugurato. La copertura metallica dell’edificio, progettata dal Damiani e realizzata dalla fonderia Oretea nel 1877 rappresentò un’ardita prova di perizia tecnica e volontà progressista da parte del nostro architetto, poco compresa dai suoi contemporanei. Tuttavia l’innovativa forma della struttura, in ferro e vetro, suscitò ammirazione e apprezzamenti da parte di molti architetti europei del tempo. Il teatro, che fu dedicato a Garibaldi dopo la sua morte avvenuta ne 1882, acquistò l’aspetto attuale nel 1891, in occasione della grande Esposizione Nazionale che si tenne quell’anno a Palermo, di cui il Politeama era uno dei poli d’attrazione più interessanti. Soltanto allora, come prevedeva il progetto del Damiani, si realizzarono le magnifiche decorazioni pittoriche policrome (che richiamano alle antiche tradizioni locali dei templi sicelioti), sia all’interno che all’esterno del teatro, ad opera di importanti artisti come Gustavo Mancinelli, Francesco Padovani, Giuseppe Enea, Giuseppe Cavallaro, Vincenzo Riolo, Rocco Lentini ed altri, tutti artisti che operarono a Palermo nell’ambito della cultura neoclassica. Sempre in occasione dell’Esposizione Nazionale si ebbe “l’apertura ufficiale del teatro“ con l’Otello di Giuseppe Verdi, protagonista il celebre tenore Francesco Tamagno, che vide la presenza di re Umberto e la regina Margherita: le stagioni 1891-93 ebbero un direttore d’eccezione, il grande maestro Arturo Toscanini. Oggi il teatro può accogliere circa mille spettatori (originariamente era stata progettata per ospitarne cinquemila), all’interno vi è un’ampia sala a forma di ferro di cavallo con un doppio ordine di palchi e un doppio loggione/anfiteatro, che, preceduto da un foyer ospita una raffinata scultura intitolata “la Danzatrice velata” di Amleto Cataldi. Gli interni del teatro così raffinati ed eleganti, lasciano i visitatori senza fiato; è impossibile non farsi rapire dalle stupende decorazione dei locali, dai magnifici affreschi e dagli incantevoli apparati scultorei ( molti dei quali eseguiti su disegno di Damiani Almejda). Il giardino esterno al teatro ospita alcune sculture di prestigiosi artisti come Valerio Villareale, Benedetto De Lisi e Antonio Ugo. Davanti al teatro nella piazza antistante si trova il monumento marmoreo dedicato a Ruggero Settimo opera di Benedetto De Lisi. Il teatro Politeama Garibaldi oggi è la sede della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana una prestigiosa istituzione culturale musicale nata nel 1951 che è anche una delle maggiori orchestre sinfoniche nazionali. Questo splendido monumento, oggi purtroppo in decadenza (soprattutto l’interno necessita di considerevoli opere di restauro), talmente legato al sentimento popolare dei palermitani ha finito per far identificare col suo nome la piazza in cui sorge; infatti se chiedete ad un palermitano indicazioni per piazza Ruggero Settimo, sebbene sia un luogo frequentatissimo dai cittadini, pochi sapranno rispondere, ma se chiedete dove si trova piazza Politeama, tutti senza esitazione sapranno indirizzarvi.
336 persone del luogo consigliano
Politeama Garibaldi
2 Via Filippo Turati
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Il teatro Politeama Garibaldi di Palermo, progettato dall’architetto Giuseppe Damiani Almejda è un armonioso e imponente edificio di stile pompeiano che si trova in piazza Ruggero Settimo, una delle piazze più belle e vivaci della città. Nella seconda metà del XIX secolo l’avvento della nuova borghesia alla ribalta della vita politica e sociale portò con sé nuove esigenze, a soddisfare le quali, si cominciarono a costruire decorosi quartieri oltre le mura, e si progettarono nel cuore della città grandi teatri cittadini: anche per sopperire alle deficienze dimensionali e strutturali dei quattro teatri stabili allora esistenti a Palermo: il teatro Carolino (già S. Lucia poi Bellini), il Santa Cecilia, il San Ferdinando e il Sant’ Anna. Il teatro Politeama è stato il primo in ordine di tempo a sorgere nella città nuova, infatti la sua costruzione inizia, nel 1867, quasi in concomitanza con la fabbrica del teatro Massimo e si conclude nel 1891 per volontà dell’amministrazione comunale della città. Sembra che il Damiani Almejda, giovane e geniale architetto di origini campane, avesse redatto già verso la metà del 1863, un progetto di massima per la realizzazione di un teatro politeama (cioè destinato a molteplici generi di spettacoli) a Palermo, all’interno di una sorta di concorso riservato ad alcuni tecnici incaricati dal sindaco Mariano Stabile. Il disegno del Damiani fu giudicato “incomparabilmente il migliore” e, in seguito a ciò, il nuovo sindaco Antonio Starabba marchese di Rudinì in accordo con il barone Angelo Porcari della Regia Accademia delle Belle Arti, incaricò il giovane architetto di definire la progettazione per la realizzazione del nuovo teatro palermitano. In definitiva, con la costruzione di un teatro politeama, l’amministrazione della città intendeva allineare Palermo al resto dell’Europa proponendo una tipologia architettonica per un genere di spettacolo nuovo, che mancava alla città. Il teatro Politeama domina con la sua elegante struttura circolare piazza Ruggero Settimo, un doppio portico scandito da una serie di colonne di stile ionico e dorico caratterizza l’esterno del monumentale edificio che culmina nell’incantevole ingresso a forma di “Arco di Trionfo” circondato da due maestosi candelabri e sormontato da una superba quadriga di bronzo. La magnifica quadriga, nota anche come “Trionfo di Apollo e Euterpe” è opera raffinatissima dello scultore Mario Rutelli; ai lati è affiancata da due statue equestri che raffigurano una coppia di cavalieri su due destrieri impennati, modellati da Benedetto Civiletti maestro del Rutelli. A lungo la quadriga rimase un monumento di cemento posato a terra nella piazza lontana dal tetto del teatro dove verrà collocata soltanto nell’aprile del 1930 quando lasciato lo stato provvisorio del cemento diventa bronzea. Quando il teatro venne inaugurato, il 7 giugno del 1874, con l’opera “i Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini si presentava ancora incompleto nelle decorazioni interne ed esterne, era privo dei pavimenti, delle porte, del tavolato scenico, dei camerini, delle quinte e soprattutto della copertura (questo fatto è stato erroneamente interpretato come una precisa volontà progettuale dell’architetto che in realtà l’aveva prevista già nel suo progetto originario). Insomma era un vero e proprio cantiere, ostacolato tra l’altro, da problemi di natura economica, tuttavia l’allora sindaco Emanuele Notarbartolo di S. Giovanni volle a tutti i costi che fosse inaugurato. La copertura metallica dell’edificio, progettata dal Damiani e realizzata dalla fonderia Oretea nel 1877 rappresentò un’ardita prova di perizia tecnica e volontà progressista da parte del nostro architetto, poco compresa dai suoi contemporanei. Tuttavia l’innovativa forma della struttura, in ferro e vetro, suscitò ammirazione e apprezzamenti da parte di molti architetti europei del tempo. Il teatro, che fu dedicato a Garibaldi dopo la sua morte avvenuta ne 1882, acquistò l’aspetto attuale nel 1891, in occasione della grande Esposizione Nazionale che si tenne quell’anno a Palermo, di cui il Politeama era uno dei poli d’attrazione più interessanti. Soltanto allora, come prevedeva il progetto del Damiani, si realizzarono le magnifiche decorazioni pittoriche policrome (che richiamano alle antiche tradizioni locali dei templi sicelioti), sia all’interno che all’esterno del teatro, ad opera di importanti artisti come Gustavo Mancinelli, Francesco Padovani, Giuseppe Enea, Giuseppe Cavallaro, Vincenzo Riolo, Rocco Lentini ed altri, tutti artisti che operarono a Palermo nell’ambito della cultura neoclassica. Sempre in occasione dell’Esposizione Nazionale si ebbe “l’apertura ufficiale del teatro“ con l’Otello di Giuseppe Verdi, protagonista il celebre tenore Francesco Tamagno, che vide la presenza di re Umberto e la regina Margherita: le stagioni 1891-93 ebbero un direttore d’eccezione, il grande maestro Arturo Toscanini. Oggi il teatro può accogliere circa mille spettatori (originariamente era stata progettata per ospitarne cinquemila), all’interno vi è un’ampia sala a forma di ferro di cavallo con un doppio ordine di palchi e un doppio loggione/anfiteatro, che, preceduto da un foyer ospita una raffinata scultura intitolata “la Danzatrice velata” di Amleto Cataldi. Gli interni del teatro così raffinati ed eleganti, lasciano i visitatori senza fiato; è impossibile non farsi rapire dalle stupende decorazione dei locali, dai magnifici affreschi e dagli incantevoli apparati scultorei ( molti dei quali eseguiti su disegno di Damiani Almejda). Il giardino esterno al teatro ospita alcune sculture di prestigiosi artisti come Valerio Villareale, Benedetto De Lisi e Antonio Ugo. Davanti al teatro nella piazza antistante si trova il monumento marmoreo dedicato a Ruggero Settimo opera di Benedetto De Lisi. Il teatro Politeama Garibaldi oggi è la sede della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana una prestigiosa istituzione culturale musicale nata nel 1951 che è anche una delle maggiori orchestre sinfoniche nazionali. Questo splendido monumento, oggi purtroppo in decadenza (soprattutto l’interno necessita di considerevoli opere di restauro), talmente legato al sentimento popolare dei palermitani ha finito per far identificare col suo nome la piazza in cui sorge; infatti se chiedete ad un palermitano indicazioni per piazza Ruggero Settimo, sebbene sia un luogo frequentatissimo dai cittadini, pochi sapranno rispondere, ma se chiedete dove si trova piazza Politeama, tutti senza esitazione sapranno indirizzarvi.
Si chiama Palazzo dei Normanni, ma il suo aspetto attuale è il risultato di costruzioni, demolizioni e sovrapposizioni che si sono succedute in secoli di storia ad opera di arabi, spagnoli, francesi, italiani e naturalmente anche normanni. Va aggiunto che il palazzo fu costruito sopra uno dei primi insediamenti punici, nella parte più alta dell’antico nucleo cittadino di Palermo. Quest’austera fortezza, nota anche come Palazzo Reale, è dunque il risultato di popoli e culture diverse, un tratto che caratterizza non pochi edifici di Palermo. Nei secoli fu sede di attività amministrative (funzione che conserva ancora oggi), di laboratori artigianali di oreficeria e di produzione di tessuti e di attività culturali tra cui va sicuramente ricordata la Scuola Poetica Siciliana. Per la sua particolarissima struttura, per la sua storia e per lo splendore della Cappella Palatina ospitata al suo interno, il Palazzo dei Normanni attira numerosissimi turisti, desiderosi di visitare una delle più antiche dimore reali d'Europa. Le sale e torri del palazzo La struttura del Palazzo dei Normanni è davvero particolare, composta da edifici a forma di torre collegati tra di loro da portici e giardini. Alle prime torri esistenti nella fortezza araba e nella prima reggia di Ruggero II vennero poi aggiunte le torri Pisana, Ioaria, Chirimbi, Greca: le prime due si ritiene che abbiano ospitato gli appartamenti dei sovrani normanni e di Federico II di Svevia. Sala dei Venti Ubicata all’interno della medievale torre Ioaria, la Sala dei venti è una delle sale più suggestive del palazzo: viene così chiamata perché sul suo stupendo un soffitto ligneo è presente una rosa dei venti. Sala di Ruggero Il nome si riferisce al re Ruggero II, ma gli stupendi mosaici con scene di caccia e immagini allegoriche del potere normanno si devono al figlio Guglielmo I. Sale Duca di Montaldo Sono sale riccamente affrescate durante la prima metà del XVII secolo allo scopo di trasformare gli ambienti originari in sale per le udienze estive. Sala d’Ercole La Sala d’Ercole è dal 1947 sede dell’Assemblea Regionale Siciliana e per questo motivo in alcuni giorni non è visitabile. Il suo nome è un riferimento all’eroe mitologico greco Ercole, qui ritratto in un ciclo pittorico settecentesco dell’artista Giuseppe Velasco, soprannominato “il Velazquez di Sicilia”. Altre sale La Sala dei Vicerè, la Sala Cinese e la Sala Pompeiana sono arredate con mobili del Settecento e dell’Ottocento e devono il loro nome ai motivi degli affreschi che le decorano.
494 persone del luogo consigliano
Palazzo dei Normanni
1 Piazza del Parlamento
494 persone del luogo consigliano
Si chiama Palazzo dei Normanni, ma il suo aspetto attuale è il risultato di costruzioni, demolizioni e sovrapposizioni che si sono succedute in secoli di storia ad opera di arabi, spagnoli, francesi, italiani e naturalmente anche normanni. Va aggiunto che il palazzo fu costruito sopra uno dei primi insediamenti punici, nella parte più alta dell’antico nucleo cittadino di Palermo. Quest’austera fortezza, nota anche come Palazzo Reale, è dunque il risultato di popoli e culture diverse, un tratto che caratterizza non pochi edifici di Palermo. Nei secoli fu sede di attività amministrative (funzione che conserva ancora oggi), di laboratori artigianali di oreficeria e di produzione di tessuti e di attività culturali tra cui va sicuramente ricordata la Scuola Poetica Siciliana. Per la sua particolarissima struttura, per la sua storia e per lo splendore della Cappella Palatina ospitata al suo interno, il Palazzo dei Normanni attira numerosissimi turisti, desiderosi di visitare una delle più antiche dimore reali d'Europa. Le sale e torri del palazzo La struttura del Palazzo dei Normanni è davvero particolare, composta da edifici a forma di torre collegati tra di loro da portici e giardini. Alle prime torri esistenti nella fortezza araba e nella prima reggia di Ruggero II vennero poi aggiunte le torri Pisana, Ioaria, Chirimbi, Greca: le prime due si ritiene che abbiano ospitato gli appartamenti dei sovrani normanni e di Federico II di Svevia. Sala dei Venti Ubicata all’interno della medievale torre Ioaria, la Sala dei venti è una delle sale più suggestive del palazzo: viene così chiamata perché sul suo stupendo un soffitto ligneo è presente una rosa dei venti. Sala di Ruggero Il nome si riferisce al re Ruggero II, ma gli stupendi mosaici con scene di caccia e immagini allegoriche del potere normanno si devono al figlio Guglielmo I. Sale Duca di Montaldo Sono sale riccamente affrescate durante la prima metà del XVII secolo allo scopo di trasformare gli ambienti originari in sale per le udienze estive. Sala d’Ercole La Sala d’Ercole è dal 1947 sede dell’Assemblea Regionale Siciliana e per questo motivo in alcuni giorni non è visitabile. Il suo nome è un riferimento all’eroe mitologico greco Ercole, qui ritratto in un ciclo pittorico settecentesco dell’artista Giuseppe Velasco, soprannominato “il Velazquez di Sicilia”. Altre sale La Sala dei Vicerè, la Sala Cinese e la Sala Pompeiana sono arredate con mobili del Settecento e dell’Ottocento e devono il loro nome ai motivi degli affreschi che le decorano.
La cappella Palatina si trova all’interno del Palazzo dei Normanni, costruito nella paleopoli, la parte più alta e antica della città. La Cappella Palatina, che significa cappella del Palazzo, fu voluta da Ruggero II d’Altavilla, primo re normanno di Sicilia e fu utilizzata da quest’ultimo come cappella privata nel 1130. La chiesa Un tempo il suo aspetto esteriore era totalmente diverso ad oggi. Della sua facciata originaria non è rimasto quasi nulla perché inglobata da altre strutture più recenti. Originariamente sorgeva isolata, l’abside rivolta ad oriente come vuole la tradizione bizantina. Se la prima impressione è quella di entrare in una normale chiesa cristiana, se guardiamo più attentamente la sua struttura possiamo riconoscere due piccole chiese. Ad Occidente si vede una chiesa latina suddivisa da dieci colonne di granito in tre navate e ad Oriente, cioè nel presbiterio, possiamo riconoscere una piccola chiesa cristiana orientale, cioè bizantina, a pianta quadrata sormontata da una cupoletta emisferica, come quelle che si vedono in Oriente in Grecia o in Turchia per esempio. Anche le iscrizioni che troviamo sulle pareti sono sia in Latino che in Greco, questo testimonia il fatto che, in questa piccola cappella, al tempo di Ruggero II le due componenti religiose si controbilanciavano e che venisse “officiato” in greco e in latino. La cappella sorge in un momento di grande creatività in cui operarono insieme artisti di origine e sensibilità diverse e il risultato fu un capolavoro dove si può riconoscere la politica di tolleranza adottata da Ruggero II. Il Re ci vuole mostrare che qui si incontrano la cultura orientale e quella occidentale ma non solo, perché se osserviamo attentamente il pavimento possiamo vedere anche qui dei mosaici, ma non di vetro ma di pietre preziose come il porfido per esempio. Dunque il pavimento è arabo e arabe sono anche le palmette stilizzate sulle pareti sopra le quali troviamo i mosaici bizantini. I mosaici della Cappella Palatina sono d’oro! I mosaici bizantini sono formati da due lastre di vetro tra le quali si trova uno strato sottilissimo di oro. Quindi ciò che luccica è oro, come lo è la Parola Dio. Dio è luce e per rappresentare Dio bisogna utilizzare la cosa più preziosa che esista. Qui lavorarono insieme arabi, normanni e bizantini grazie alla politica di tolleranza adottata da Ruggero II. Ricordiamo che al tempo dei normanni non tutti sapevano leggere e scrivere, quindi Ruggero adottò un linguaggio che poteva essere compreso da tutti. Pensiamo ai libri illustrati…ecco un libro illustrato alla portata di tutti, un libro illustrato che racconta le storie di Cristo, le storie della Genesi, la storia dell’Antico Testamento, le storie dei Santi Pietro e Paolo. Osservando il presbiterio ci accorgiamo di quanto fossero geniali le maestranze che qui lavorarono… Tutto ha un significato, nulla è stato lasciato al caso. Vediamo che il presbiterio ha una forma quadrata. Il quadrato rappresenta la terra con i suoi 4 elementi: terra, acqua, aria e fuoco; poi vediamo nel tamburo un ottagono ottenuto realizzando queste doppie nicchie agli angoli; il numero otto rappresenta la resurrezione ma anche il giudizio universale, indica l’incognita a cui segue la perfezione, geniale soluzione per arrivare al cerchio cioè a quella figura geometrica che non ha inizio e non ha fine e che rappresenta Dio. Infatti la cupola simbolizza il regno celeste dove Cristo è supremo signore ed è circondato da arcangeli ed Angeli che sono i suoi soldati. Intorno alla cupola vie è infatti la scritta : “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi” (Isaia 66,1 = Atti 7,49°). Nel tamburo sono i 4 evangelisti e i profeti. Nell’abside vediamo il Cristo Pantocrator cioè Signore del Creato che ci benedice alla maniera greca con le dita della mano destra incrociate in modo che il pollice che tocca il medio, mentre con la sinistra tiene il libro della Bibbia in cui è scritto in greco e in latino: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. Sotto il Cristo Pantocrator vediamo la Madonna e ci rendiamo subito conto che la Madonna ivi rappresentata non è originale del XII sec., si tratta di una Madonna barocca, realizzata per coprire una finestra che non ebbe più la sua funzione originaria, quella cioè di far penetrare i primi raggi del sole all’interno della chiesa. Ma una Madonna originale dell’epoca si può vedere alzando lo sguardo sopra l’arco che precede l’abside, vi è rappresentata l’annunciazione, a sinistra si vede l’angelo Gabriele e una colomba con un raggio di luce: è lo spirito Santo. Interessante è l’immagine che illustra la separazione della terra dal mare. Il globo terrestre è una sfera d’acqua con al centro tre parti di terra che rappresentano i tre continenti allora conosciuti: Europa, Africa e Asia, divise da strisce di mare che formano una Y, simbolo della trinità. Si osservi anche la scena della creazione di Adamo: si vede una grande rassomiglianza tra il volto di Dio e quello di Adamo sottolineata dalla frase in latino: creavit ominem at imaginem sua. Il soffitto della Cappella Palatina Unico al mondo e di notevole importanza e pregio è il soffitto. Trattasi di un soffitto fatimita a muquarnas che significa stalattiti o alveoli. Questa struttura autoreggente è costituita da tavole molto sottili di abies nebrodensis (abete dei Nebrodi). Ciò che vediamo sono 750 dipinti su tavola indipendenti l’uno dall’altro e ciò che viene rappresentato, da artisti a noi purtroppo sconosciuti ma provenienti sicuramente dal Nord Africa , è la rappresentazione del paradiso coranico, in sostanza vengono rappresentati tutti i piaceri dei sensi e dello spirito che attendono i credenti. Si vedono alberi, mostri, pavoni, aquile; uomini accovacciati con le gambe incrociate alla musulmana, generalmente in atto di bere, o di andare a caccia, suonatori di piffero, di tamburo, nacchere e arpa e scene di danza. Tutte queste scene appartengono alla iconografia profana islamica, le cui immagini raffigurate rappresentavano simbolicamente l’augurio di una vita felice dopo la morte. Questi artisti lavorano per Dio, infatti  l’amore e la perfezione con cui gli artisti dipinsero queste scene di vita quotidiana testimoniano lo spirito con cui lavorarono e la dedizione rivolta solo alla glorificazione di Dio, infatti il lavoro, secondo i dettami dell’Islam, è una forma di adorazione. Un cenno particolare merita il candelabro monolitico alto quattro metri e ventisei centimetri che si vede sulla destra accanto all’ambone e che ancora oggi viene utilizzato Il giorno di pasqua, infatti il sacerdote legge il vangelo con la luce del cero posto su di esso. Questo capolavoro scultoreo in marmo bianco è diviso in cinque ordini e poggia su quattro leoni che azzannano uomini e bestie; i leoni sono il simbolo dei normanni. Al cento del candelabro salta subito all’occhio Cristo, raffigurato con la barba, che siede su un cuscino  e tiene in mano un libro, ai suoi piedi la figura di un uomo vestito da ecclesiastico, probabilmente Ruggero II che commissionò l’opera. La Cappella Palatina si trova a Piazza Indipendenza Orari e costo dei biglietti per la visita Orario Sante Messe: Feriali 8:30 – Domenica ore 10:00 Info su → Cappella Palatina Apertura al pubblico: Lunedì/Sabato dalle ore 8.15 alle ore 17.40 (ultimo biglietto ore 16.40) Domenica e festivi dalle ore 8.15 alle ore 13.00 (ultimo biglietto ore 12.00)
359 persone del luogo consigliano
Cappella Palatina
1 Piazza del Parlamento
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La cappella Palatina si trova all’interno del Palazzo dei Normanni, costruito nella paleopoli, la parte più alta e antica della città. La Cappella Palatina, che significa cappella del Palazzo, fu voluta da Ruggero II d’Altavilla, primo re normanno di Sicilia e fu utilizzata da quest’ultimo come cappella privata nel 1130. La chiesa Un tempo il suo aspetto esteriore era totalmente diverso ad oggi. Della sua facciata originaria non è rimasto quasi nulla perché inglobata da altre strutture più recenti. Originariamente sorgeva isolata, l’abside rivolta ad oriente come vuole la tradizione bizantina. Se la prima impressione è quella di entrare in una normale chiesa cristiana, se guardiamo più attentamente la sua struttura possiamo riconoscere due piccole chiese. Ad Occidente si vede una chiesa latina suddivisa da dieci colonne di granito in tre navate e ad Oriente, cioè nel presbiterio, possiamo riconoscere una piccola chiesa cristiana orientale, cioè bizantina, a pianta quadrata sormontata da una cupoletta emisferica, come quelle che si vedono in Oriente in Grecia o in Turchia per esempio. Anche le iscrizioni che troviamo sulle pareti sono sia in Latino che in Greco, questo testimonia il fatto che, in questa piccola cappella, al tempo di Ruggero II le due componenti religiose si controbilanciavano e che venisse “officiato” in greco e in latino. La cappella sorge in un momento di grande creatività in cui operarono insieme artisti di origine e sensibilità diverse e il risultato fu un capolavoro dove si può riconoscere la politica di tolleranza adottata da Ruggero II. Il Re ci vuole mostrare che qui si incontrano la cultura orientale e quella occidentale ma non solo, perché se osserviamo attentamente il pavimento possiamo vedere anche qui dei mosaici, ma non di vetro ma di pietre preziose come il porfido per esempio. Dunque il pavimento è arabo e arabe sono anche le palmette stilizzate sulle pareti sopra le quali troviamo i mosaici bizantini. I mosaici della Cappella Palatina sono d’oro! I mosaici bizantini sono formati da due lastre di vetro tra le quali si trova uno strato sottilissimo di oro. Quindi ciò che luccica è oro, come lo è la Parola Dio. Dio è luce e per rappresentare Dio bisogna utilizzare la cosa più preziosa che esista. Qui lavorarono insieme arabi, normanni e bizantini grazie alla politica di tolleranza adottata da Ruggero II. Ricordiamo che al tempo dei normanni non tutti sapevano leggere e scrivere, quindi Ruggero adottò un linguaggio che poteva essere compreso da tutti. Pensiamo ai libri illustrati…ecco un libro illustrato alla portata di tutti, un libro illustrato che racconta le storie di Cristo, le storie della Genesi, la storia dell’Antico Testamento, le storie dei Santi Pietro e Paolo. Osservando il presbiterio ci accorgiamo di quanto fossero geniali le maestranze che qui lavorarono… Tutto ha un significato, nulla è stato lasciato al caso. Vediamo che il presbiterio ha una forma quadrata. Il quadrato rappresenta la terra con i suoi 4 elementi: terra, acqua, aria e fuoco; poi vediamo nel tamburo un ottagono ottenuto realizzando queste doppie nicchie agli angoli; il numero otto rappresenta la resurrezione ma anche il giudizio universale, indica l’incognita a cui segue la perfezione, geniale soluzione per arrivare al cerchio cioè a quella figura geometrica che non ha inizio e non ha fine e che rappresenta Dio. Infatti la cupola simbolizza il regno celeste dove Cristo è supremo signore ed è circondato da arcangeli ed Angeli che sono i suoi soldati. Intorno alla cupola vie è infatti la scritta : “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi” (Isaia 66,1 = Atti 7,49°). Nel tamburo sono i 4 evangelisti e i profeti. Nell’abside vediamo il Cristo Pantocrator cioè Signore del Creato che ci benedice alla maniera greca con le dita della mano destra incrociate in modo che il pollice che tocca il medio, mentre con la sinistra tiene il libro della Bibbia in cui è scritto in greco e in latino: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. Sotto il Cristo Pantocrator vediamo la Madonna e ci rendiamo subito conto che la Madonna ivi rappresentata non è originale del XII sec., si tratta di una Madonna barocca, realizzata per coprire una finestra che non ebbe più la sua funzione originaria, quella cioè di far penetrare i primi raggi del sole all’interno della chiesa. Ma una Madonna originale dell’epoca si può vedere alzando lo sguardo sopra l’arco che precede l’abside, vi è rappresentata l’annunciazione, a sinistra si vede l’angelo Gabriele e una colomba con un raggio di luce: è lo spirito Santo. Interessante è l’immagine che illustra la separazione della terra dal mare. Il globo terrestre è una sfera d’acqua con al centro tre parti di terra che rappresentano i tre continenti allora conosciuti: Europa, Africa e Asia, divise da strisce di mare che formano una Y, simbolo della trinità. Si osservi anche la scena della creazione di Adamo: si vede una grande rassomiglianza tra il volto di Dio e quello di Adamo sottolineata dalla frase in latino: creavit ominem at imaginem sua. Il soffitto della Cappella Palatina Unico al mondo e di notevole importanza e pregio è il soffitto. Trattasi di un soffitto fatimita a muquarnas che significa stalattiti o alveoli. Questa struttura autoreggente è costituita da tavole molto sottili di abies nebrodensis (abete dei Nebrodi). Ciò che vediamo sono 750 dipinti su tavola indipendenti l’uno dall’altro e ciò che viene rappresentato, da artisti a noi purtroppo sconosciuti ma provenienti sicuramente dal Nord Africa , è la rappresentazione del paradiso coranico, in sostanza vengono rappresentati tutti i piaceri dei sensi e dello spirito che attendono i credenti. Si vedono alberi, mostri, pavoni, aquile; uomini accovacciati con le gambe incrociate alla musulmana, generalmente in atto di bere, o di andare a caccia, suonatori di piffero, di tamburo, nacchere e arpa e scene di danza. Tutte queste scene appartengono alla iconografia profana islamica, le cui immagini raffigurate rappresentavano simbolicamente l’augurio di una vita felice dopo la morte. Questi artisti lavorano per Dio, infatti  l’amore e la perfezione con cui gli artisti dipinsero queste scene di vita quotidiana testimoniano lo spirito con cui lavorarono e la dedizione rivolta solo alla glorificazione di Dio, infatti il lavoro, secondo i dettami dell’Islam, è una forma di adorazione. Un cenno particolare merita il candelabro monolitico alto quattro metri e ventisei centimetri che si vede sulla destra accanto all’ambone e che ancora oggi viene utilizzato Il giorno di pasqua, infatti il sacerdote legge il vangelo con la luce del cero posto su di esso. Questo capolavoro scultoreo in marmo bianco è diviso in cinque ordini e poggia su quattro leoni che azzannano uomini e bestie; i leoni sono il simbolo dei normanni. Al cento del candelabro salta subito all’occhio Cristo, raffigurato con la barba, che siede su un cuscino  e tiene in mano un libro, ai suoi piedi la figura di un uomo vestito da ecclesiastico, probabilmente Ruggero II che commissionò l’opera. La Cappella Palatina si trova a Piazza Indipendenza Orari e costo dei biglietti per la visita Orario Sante Messe: Feriali 8:30 – Domenica ore 10:00 Info su → Cappella Palatina Apertura al pubblico: Lunedì/Sabato dalle ore 8.15 alle ore 17.40 (ultimo biglietto ore 16.40) Domenica e festivi dalle ore 8.15 alle ore 13.00 (ultimo biglietto ore 12.00)
La denominazione di Santa Maria “della Catena” per questa bella chiesa di Palermo situata nella parte bassa del Cassaro, proprio prospiciente alla Cala, è legata alla catena che da qui si dipanava fino al Castello a Mare e chiudeva l’antico porto di Palermo. Tuttavia esiste un’altra origine affascinante ed evocativa del nome, e per quanto sia più che altro una leggenda è interessante ricordarla. Narrano infatti le antiche cronache, che nell’agosto del 1392, regnando re Martino, tre condannati furono avviati al supplizio, che, come d’uso, si svolgeva nel grande piano della Marina. Ma un violento e improvviso nubifragio costrinse guardie e condannati a rifugiarsi proprio all’interno della nostra chiesetta e il popolo a fuggire. L’esecuzione fu rinviata e i condannati rimasero chiusi dentro la chiesa assieme ai loro carnefici. I prigionieri allora trascorsero la notte ad invocare la Vergine Immacolata, che misericordiosa, accolse le loro suppliche: le catene si sciolsero misteriosamente e le guardie di scorta, caduti in un sonno profondo, non furono di ostacolo alla loro fuga. Riportati il giorno seguente i condannati davanti al re Martino, questi, riconoscendo l’intercessione della Vergine e interpretando l’episodio come un segno divino, non ebbe l’animo di condannare coloro che la Madonna aveva liberato concedendo loro la libertà, recandosi poi con la regina Maria e la corte intera a rendere onore alla “Vergine misericordiosa”. La chiesa La chiesa che possiamo ammirare adesso fu edificata in un arco temporale che va dal 1490 al 1520 su progetto del netino Matteo Carnalivari, uno dei più significativi architetti siciliani di tutti i tempi, anche se la paternità del progetto non è del tutto certa; forse con la collaborazione di Antonio Belguardo e di Antonio Scaglione. Mirabile fusione del gotico fiorito, nella sua espressione più raffinata, con la nuova arte rinascimentale, la chiesa di Santa Maria della Catena appartiene a quel felice periodo che attraversò l’architettura isolana tra il 400 e il 500 e diede vita a una vasta produzione di opere di notevole livello artistico, non solo nell’architettura religiosa. L’edificio religioso, di elegante struttura, riprende lo schema tradizionale caratteristico della chiesa medievale siciliana. L'ingresso è preceduto da una breve scalinata di raccordo (un tempo a due rampe), resasi necessaria per colmare il dislivello creatosi in seguito all’allungamento, nel 1581, della strada del Cassaro (la principale arteria della città). Al di sopra, un arioso portico a tre arcate ribassate sorrette da robuste colonne in marmo, serrato ai lati da due torricini. Il portico, detto anche “tocco”, è un elemento tipico della chiese palermitane dell’epoca sorte nei quartieri marittimi e costituiva uno spazio utile per gli incontri e gli scambi tra gli abitanti della zona. Sopra il portico, si trova entro una nicchia la statua di Santa Cristina che sormonta una lapide con una iscrizione di Antonio Veneziano che ricorda un prodigio della Santa patrona che salvò la città dalla carestia. Sulla sommità della facciata una singolare cimasa traforata in pietra di armonioso disegno a motivi astratti stilizzati. La facciata presenta tre eleganti portali, di chiaro gusto rinascimentale dove spiccano dei bassorilievi di scuola gaginesca che raffigurano scene del “Nuovo Testamento”. Il portale più ampio al centro e due più piccoli ai lati consentono l’accesso al tempio. L’interno, di grande eleganza formale e di raffinata semplicità data anche dalla pietra nuda e ruvida, ha un impianto di tipo basilicale a tre navate separate da colonne in marmo con capitelli corinzi che sorreggono archi asimmetrici e ribassati. Le tre navate sono coincidenti con i tre portali esterni. L’impianto basilicale si innesta ad una porzione di organismo centrico rispondente al Santuario triabsidato, dopo le numerose sovrapposizioni avvenute nel tempo (alcune eliminate con i restauri dell’architetto Patricolo 1884-91 e altre dopo i danni dell’ultimo conflitto mondiale), la concezione plano-volumetrica oggi risulta falsata dalla presenza di cappelle che erano state aggiunte più tardi ai fianchi delle due navate laterali: dopo i danni dell’ultimo conflitto, sono rimaste integre solo quelle del lato destro in quanto la parete sinistra è stata danneggiata dai bombardamenti. La prima cappella di destra, intitolata a Santa Brigida, presenta sull’altare un dipinto del XVII sec. realizzato dal pittore trapanese Andrea Carreca che rappresenta la “Gloria” della santa. Le pareti laterali e la volta sono decorati con affreschi attribuiti a Olivio Sozzi che raffigurano, sulla volta, Santa Brigida incoronata dalla Vergine e ai lati la santa in Gloria e Cristo che mostra il costato insanguinato. La successiva cappella, che è anche la più importante e significativa, è dedicata alla Madonna della Catena. Essa corrisponde alla cappella votiva su cui fu eretta la chiesa ed è caratterizzata dal grande affresco trecentesco, incorniciato da un baldacchino con colonne in alabastro, che raffigura la Vergine che allatta il Bambino (l’originaria immagine a cui si sarebbero rivolti i condannati). L’opera è venuta alla luce durante i restauri del 1990, al di sotto di un altro affresco che vi era stato sovrapposto, e di cui si conservano ancora le parti laterali (forse il primo non era ritenuto conforme ai canoni dettati dal Concilio di Trento). Caratteristiche di questo dipinto è l’aspetto di Gesù bambino, che qui viene raffigurato, seguendo i canoni tipici delle iconografie di ispirazione bizantina, con sembianze adulte. Secondo la cultura liturgica bizantina, infatti, si riteneva che Gesù fosse stato sempre saggio e maturo sin da bambino. Arricchiscono la cappella, ai lati, quattro statue di scuola gaginesca che raffigurano Santa Barbara, Santa Margherita e due antiche patrone della città, Santa Ninfa e Sant’Oliva. Di notevole interesse la cappella successiva dedicata alla Madonna delle Grazie, tutta adornata con statue e rilievi attribuiti ad Antonello e Vincenzo Gagini. Sempre di fattura gaginiana sono l’altare marmoreo con bassorilievo rappresentante la “Crocifissione sul Golgota” e l’edicola che lo sormonta con la “Incoronazione della Vergine” (quest’ultima proveniente dalla non più esistente chiesa di San Nicolò alla Kalsa rovinata dopo il grave terremoto del 1823). All’interno della cappella vi sono affreschi settecenteschi attribuiti a Olivio Sozzi che raffigurano i santi Pietro e Paolo, ai lati, e sulla volta un Cristo che benedice due religiosi. Ai lati monumenti funerari appartenenti a grandi famiglie palermitane. Nell’ultima cappella detta della “Natività” troviamo al centro una pregevole opera caravaggesca che rappresenta “La Natività con Adorazione dei pastori”. Alle pareti laterali sono presenti due affreschi che raffigurano “La strage degli innocenti “ a destra e “La circoncisione di Cristo” a sinistra. Nel doppio transetto e nella zona absidale, recintata da una balaustra in pietra, si trovano sarcofagi e lapidi sepolcrali di varie epoche. L’altare maggiore presenta un altare in marmi policromi della prima metà del seicento con al centro un tempietto colonnato con baldacchino e cupoletta di stile classico che all’interno custodisce una piccola statuetta marmorea. All’esterno della chiesa si trovava un tempo la porta cosiddetta della “Doganella” e il monumento equestre di Filippo V di Spagna, opera di Giovan Battista Ragusa su piedistallo disegnato dall’architetto Paolo Amato. Annessa alla chiesa vi è la casa conventuale dei Chierici Regolari dell’ordine dei Teatini (cui nel 1602 fu affidata la gestione della chiesa), che dal 1844 è sede dell’Archivio di Stato. Piazzetta delle Dogane 90133 Palermo Orario Sante Messe: Domenica e festivi ore 19:00. Apertura al pubblico: Tutti i giorni ore 10:00-18:00 Ingresso a pagamento
30 persone del luogo consigliano
Chiesa di Santa Maria della Catena
snc Piazzetta delle Dogane
30 persone del luogo consigliano
La denominazione di Santa Maria “della Catena” per questa bella chiesa di Palermo situata nella parte bassa del Cassaro, proprio prospiciente alla Cala, è legata alla catena che da qui si dipanava fino al Castello a Mare e chiudeva l’antico porto di Palermo. Tuttavia esiste un’altra origine affascinante ed evocativa del nome, e per quanto sia più che altro una leggenda è interessante ricordarla. Narrano infatti le antiche cronache, che nell’agosto del 1392, regnando re Martino, tre condannati furono avviati al supplizio, che, come d’uso, si svolgeva nel grande piano della Marina. Ma un violento e improvviso nubifragio costrinse guardie e condannati a rifugiarsi proprio all’interno della nostra chiesetta e il popolo a fuggire. L’esecuzione fu rinviata e i condannati rimasero chiusi dentro la chiesa assieme ai loro carnefici. I prigionieri allora trascorsero la notte ad invocare la Vergine Immacolata, che misericordiosa, accolse le loro suppliche: le catene si sciolsero misteriosamente e le guardie di scorta, caduti in un sonno profondo, non furono di ostacolo alla loro fuga. Riportati il giorno seguente i condannati davanti al re Martino, questi, riconoscendo l’intercessione della Vergine e interpretando l’episodio come un segno divino, non ebbe l’animo di condannare coloro che la Madonna aveva liberato concedendo loro la libertà, recandosi poi con la regina Maria e la corte intera a rendere onore alla “Vergine misericordiosa”. La chiesa La chiesa che possiamo ammirare adesso fu edificata in un arco temporale che va dal 1490 al 1520 su progetto del netino Matteo Carnalivari, uno dei più significativi architetti siciliani di tutti i tempi, anche se la paternità del progetto non è del tutto certa; forse con la collaborazione di Antonio Belguardo e di Antonio Scaglione. Mirabile fusione del gotico fiorito, nella sua espressione più raffinata, con la nuova arte rinascimentale, la chiesa di Santa Maria della Catena appartiene a quel felice periodo che attraversò l’architettura isolana tra il 400 e il 500 e diede vita a una vasta produzione di opere di notevole livello artistico, non solo nell’architettura religiosa. L’edificio religioso, di elegante struttura, riprende lo schema tradizionale caratteristico della chiesa medievale siciliana. L'ingresso è preceduto da una breve scalinata di raccordo (un tempo a due rampe), resasi necessaria per colmare il dislivello creatosi in seguito all’allungamento, nel 1581, della strada del Cassaro (la principale arteria della città). Al di sopra, un arioso portico a tre arcate ribassate sorrette da robuste colonne in marmo, serrato ai lati da due torricini. Il portico, detto anche “tocco”, è un elemento tipico della chiese palermitane dell’epoca sorte nei quartieri marittimi e costituiva uno spazio utile per gli incontri e gli scambi tra gli abitanti della zona. Sopra il portico, si trova entro una nicchia la statua di Santa Cristina che sormonta una lapide con una iscrizione di Antonio Veneziano che ricorda un prodigio della Santa patrona che salvò la città dalla carestia. Sulla sommità della facciata una singolare cimasa traforata in pietra di armonioso disegno a motivi astratti stilizzati. La facciata presenta tre eleganti portali, di chiaro gusto rinascimentale dove spiccano dei bassorilievi di scuola gaginesca che raffigurano scene del “Nuovo Testamento”. Il portale più ampio al centro e due più piccoli ai lati consentono l’accesso al tempio. L’interno, di grande eleganza formale e di raffinata semplicità data anche dalla pietra nuda e ruvida, ha un impianto di tipo basilicale a tre navate separate da colonne in marmo con capitelli corinzi che sorreggono archi asimmetrici e ribassati. Le tre navate sono coincidenti con i tre portali esterni. L’impianto basilicale si innesta ad una porzione di organismo centrico rispondente al Santuario triabsidato, dopo le numerose sovrapposizioni avvenute nel tempo (alcune eliminate con i restauri dell’architetto Patricolo 1884-91 e altre dopo i danni dell’ultimo conflitto mondiale), la concezione plano-volumetrica oggi risulta falsata dalla presenza di cappelle che erano state aggiunte più tardi ai fianchi delle due navate laterali: dopo i danni dell’ultimo conflitto, sono rimaste integre solo quelle del lato destro in quanto la parete sinistra è stata danneggiata dai bombardamenti. La prima cappella di destra, intitolata a Santa Brigida, presenta sull’altare un dipinto del XVII sec. realizzato dal pittore trapanese Andrea Carreca che rappresenta la “Gloria” della santa. Le pareti laterali e la volta sono decorati con affreschi attribuiti a Olivio Sozzi che raffigurano, sulla volta, Santa Brigida incoronata dalla Vergine e ai lati la santa in Gloria e Cristo che mostra il costato insanguinato. La successiva cappella, che è anche la più importante e significativa, è dedicata alla Madonna della Catena. Essa corrisponde alla cappella votiva su cui fu eretta la chiesa ed è caratterizzata dal grande affresco trecentesco, incorniciato da un baldacchino con colonne in alabastro, che raffigura la Vergine che allatta il Bambino (l’originaria immagine a cui si sarebbero rivolti i condannati). L’opera è venuta alla luce durante i restauri del 1990, al di sotto di un altro affresco che vi era stato sovrapposto, e di cui si conservano ancora le parti laterali (forse il primo non era ritenuto conforme ai canoni dettati dal Concilio di Trento). Caratteristiche di questo dipinto è l’aspetto di Gesù bambino, che qui viene raffigurato, seguendo i canoni tipici delle iconografie di ispirazione bizantina, con sembianze adulte. Secondo la cultura liturgica bizantina, infatti, si riteneva che Gesù fosse stato sempre saggio e maturo sin da bambino. Arricchiscono la cappella, ai lati, quattro statue di scuola gaginesca che raffigurano Santa Barbara, Santa Margherita e due antiche patrone della città, Santa Ninfa e Sant’Oliva. Di notevole interesse la cappella successiva dedicata alla Madonna delle Grazie, tutta adornata con statue e rilievi attribuiti ad Antonello e Vincenzo Gagini. Sempre di fattura gaginiana sono l’altare marmoreo con bassorilievo rappresentante la “Crocifissione sul Golgota” e l’edicola che lo sormonta con la “Incoronazione della Vergine” (quest’ultima proveniente dalla non più esistente chiesa di San Nicolò alla Kalsa rovinata dopo il grave terremoto del 1823). All’interno della cappella vi sono affreschi settecenteschi attribuiti a Olivio Sozzi che raffigurano i santi Pietro e Paolo, ai lati, e sulla volta un Cristo che benedice due religiosi. Ai lati monumenti funerari appartenenti a grandi famiglie palermitane. Nell’ultima cappella detta della “Natività” troviamo al centro una pregevole opera caravaggesca che rappresenta “La Natività con Adorazione dei pastori”. Alle pareti laterali sono presenti due affreschi che raffigurano “La strage degli innocenti “ a destra e “La circoncisione di Cristo” a sinistra. Nel doppio transetto e nella zona absidale, recintata da una balaustra in pietra, si trovano sarcofagi e lapidi sepolcrali di varie epoche. L’altare maggiore presenta un altare in marmi policromi della prima metà del seicento con al centro un tempietto colonnato con baldacchino e cupoletta di stile classico che all’interno custodisce una piccola statuetta marmorea. All’esterno della chiesa si trovava un tempo la porta cosiddetta della “Doganella” e il monumento equestre di Filippo V di Spagna, opera di Giovan Battista Ragusa su piedistallo disegnato dall’architetto Paolo Amato. Annessa alla chiesa vi è la casa conventuale dei Chierici Regolari dell’ordine dei Teatini (cui nel 1602 fu affidata la gestione della chiesa), che dal 1844 è sede dell’Archivio di Stato. Piazzetta delle Dogane 90133 Palermo Orario Sante Messe: Domenica e festivi ore 19:00. Apertura al pubblico: Tutti i giorni ore 10:00-18:00 Ingresso a pagamento
72 persone del luogo consigliano
Piazza San Carlo
15 Piazza Rivoluzione
72 persone del luogo consigliano
37 persone del luogo consigliano
La Magione
44 Via Magione
37 persone del luogo consigliano
Il complesso conventuale intitolato a Santa Maria dello Spasimo fu voluto nei primi anni del XVI secolo da Jacopo de Basilicò, un ricco Giureconsulto di origini messinesi, volle rispettare le volontà testamentarie della moglie Ilaria Resolmini, nobildonna di origini pisane, desiderosa di innalzare una chiesa dedicata al dolore immenso di Maria, che soffre dinanzi al figlio che crolla sotto il peso della Croce sulla via del Calvario. Il de Basilicò, esimio uomo di legge, reduce da un viaggio in Terra Santa, dona ai padri Olivetani di Santa Maria del Bosco, “un tenimento di case, vigne e giardino di sua proprietà ai margini del quartiere della Kalsa, per l’edificazione di una Chiesa con annesso convento”. Aveva scoperto che quel terreno di sua proprietà si trovava a 60 passi da Porta dei Greci (nella sua prima collocazione cinquecentesca), esattamente come la chiesa dedicata a Nostra Signora dello Spasimo di Gerusalemme, che era a 60 passi dalla Porta Giudicaria (scenario della settima stazione della “Via Crucis” con la seconda caduta di Cristo). Il 21 maggio del 1509 una Bolla di Papa Giulio II autorizzava la donazione del de Basilicò per l’edificazione di una chiesa con “campanile, campana, cimitero, chiostri, refettorio, dormitorio, orti, orticelli e varie officine per la necessità dell’ordine”. Secondo le volontà della testatrice la chiesa doveva essere terminata entro sei anni, e infatti attorno al 1516 il de Basilicò per celebrarla degnamente, commissiona al grande Raffaello da Urbino, un dipinto raffigurante “L’andata al Calvario“, da tutti conosciuto come lo “Spasimo di Sicilia“, e ad Antonello Gagini un magnifico altare marmoreo destinato a incorniciarlo. Il progetto dei Padri Olivetani era grandioso e richiedeva ingenti risorse, cosi che i soli capitali messi a disposizione dal de Basilicò (egli costituì una rendita di cento onze annuali sui propri beni), risultarono insufficienti per portare a termine l’imponente opera edilizia. Così nel maggio del 1509 a Siena l’abate generale dell’ordine di Monte Oliveto, frate Tommaso Pallavicino autorizza il monastero di Santa Maria del Bosco a concedere in enfiteusi l’antica “gancìa” di Santa Barbara, di proprietà dell’ordine, per un canone minimo di cento ducati annui, nell’intento di garantire ulteriore copertura finanziaria al progetto edificatorio del complesso. Anche i terreni donati dal de Basilicò, che all’inizio sembravano sufficienti, risultarono invece incapaci di contenere nei loro confini il grandioso progetto previsto da Padri Olivetani, rendendosi necessaria l’acquisizione di nuovi spazi. Nel marzo del 1517 donna Eleonora del Tocco concede ai monaci alcuni suoi terreni adiacenti all’erigendo monastero che si sommarono ai terreni donati dal Basilicò. Le vicende che riguardano l’edificazione del complesso conventuale dello Spasimo furono molto travagliate: sopraggiunsero delle difficoltà di vario genere che ne allungarono i tempi di esecuzione e ne alterarono il progetto originario. Capomastro della fabbrica di S. Maria dello Spasimo fin dal suo avvio fu Antonio Belguardo, personaggio ad oggi poco noto ma certamente uno dei protagonisti dell’architettura palermitana del primo cinquecento, che si impegnò nella realizzazione degli elementi strutturali principali della chiesa, nella quale i caratteri architettonici rappresentano quasi un unicum nel panorama costruttivo siciliano, per la tipica concezione dell’architettura di gusto gotico-settentrionale, con influssi di importazione iberica che ancora oggi possiamo ammirare. Ma il progetto iniziale, peraltro molto ambizioso, non fu mai portato a termine, lasciando la sontuosa opera incompiuta. Le vicende che riguardano la fabbrica del complesso dello Spasimo sono strettamente connesse con le opere di fortificazione che si realizzarono a Palermo a partire dal 1537, volute dal vicerè don Ferrante Gonzaga per proteggere i punti più sensibili della città. Infatti il progetto della nuova cinta bastionata redatto dall’architetto bergamasco Antonio Ferramolino, prevedeva tra gli altri, la realizzazione di uno dei bastioni appunto nell’area del convento dello Spasimo, la cui realizzazione provocò seri danni all’edificio monastico e cambiò il destino del complesso. Furono abbattuti infatti, parte del campanile della chiesa, i chiostri e le stanze dei monaci che stravolsero la configurazione dell’intera struttura. I danneggiamenti subiti dal convento dello Spasimo erano talmente importanti da indurre i padri a chiedere di essere ricoverati nella vicina chiesa della Magione per potere espletare momentaneamente le loro funzioni, in quanto i monaci inizialmente non avevano intenzione di abbandonare il loro monastero, ma la richiesta non ebbe seguito. Qualche anno dopo il vicerè conte di Castro si interessa per far concedere ai frati la chiesa di S. Maria della Pinta ma anche questa volta senza esito. Tutte le altre soluzioni prospettate dal senato cittadino e dal vicerè non soddisfarono i padri Olivetani, che dopo tante vicissitudini nel 1772 furono costretti ad abbandonare il complesso abbaziale della Kalsa, già di proprietà del senato che lo aveva definitivamente acquistato nel novembre dell’anno precedente, per la somma di 4000 once, e a trasferirsi definitivamente nell’abbazia normanna di Santo Spirito. Successivamente al trasferimento dei padri olivetani tutto il complesso viene utilizzato dal senato per usi profani, e nel 1582 nella chiesa ormai sconsacrata, il vicerè Marcantonio Colonna, vi fece rappresentare l’Aminta di Torquato Tasso divenendo così il primo “teatro pubblico” della città. In seguito alla grande epidemia di peste del 1624 che colpì la città, in mancanza di strutture ospedaliere adeguate, il convento dello Spasimo fu adibito a “lazzaretto”ed ancora a magazzino senatoriale per la conservazione delle riserve cerealicole della città. Dal 1835 divenne ospizio di mendicità e successivamente nel 1855 l’ospedale meretricio che era aggregato all’ospedale grande di palazzo Sclafani viene trasferito nei locali dello Spasimo (ospedale dello Spasimo, sopravvissuto fino al 1985). Alla fine del secondo conflitto mondiale, la chiesa venne utilizzata come deposito di materiale artistico proveniente da palazzi e chiese della città danneggiate dai bombardamenti, poi per anni cadde nell’oblio rimanendo praticamente abbandonata fino al 1988, anno in cui si incominciò un vasto lavoro di restauro e di ripristino dell’intero complesso, che vide restituire alla pubblica fruizione nel 1995, il magnifico complesso abbaziale. Oggi la chiesa con la sua navata a cielo aperto, è un luogo suggestivo adibito a spazio culturale che ospita eventi di vario genere, un’incantevole scenario per manifestazioni teatrali e musicali. La storia di questo meraviglioso monumento è stata sempre legata al famoso dipinto di Raffaello “lo Spasimo di Sicilia“, che ha una storia a dir poco affascinante. L’opera, commissionata al grande pittore urbinate dal De Basilicò nel 1516 per adornare la cappella funeraria che si era riservato nella chiesa, subì nel corso del tempo varie traversie. Secondo quanto ci dice il Vasari, il quadro partì per Palermo via mare, ma a causa di una violenta tempesta che affondò la nave, equipaggio e carico finirono in mare. Si perse tutto tranne il dipinto, chiuso in una cassa bene imballata che la corrente trasportò fino a Genova. Il ritrovamento ebbe grande rilevanza e apparve come un miracolo, alla notizia del ritrovamento i frati dello Spasimo chiesero l’intercessione di Papa Leone X per riavere l’inestimabile dipinto, riuscendo alla fine, a portare l’opera a Palermo. Nel 1661 il vicerè conte Fernando D’Ayala riuscì ad ottenere il dipinto dall’abate Clemente Staropoli a cui concesse privilegi e una rendita annuale (anche se fu pagata solo in parte). Questi ne fece dono al Re filippo IV di Spagna che lo volle collocare nella sua Real Cappella a Madrid adornandolo con preziosi arredi. Oggi se vogliamo ammirarlo dobbiamo andare al museo del Prado di Madrid.
171 persone del luogo consigliano
Santa Maria Dello Spasimo
15 Via Dello Spasimo
171 persone del luogo consigliano
Il complesso conventuale intitolato a Santa Maria dello Spasimo fu voluto nei primi anni del XVI secolo da Jacopo de Basilicò, un ricco Giureconsulto di origini messinesi, volle rispettare le volontà testamentarie della moglie Ilaria Resolmini, nobildonna di origini pisane, desiderosa di innalzare una chiesa dedicata al dolore immenso di Maria, che soffre dinanzi al figlio che crolla sotto il peso della Croce sulla via del Calvario. Il de Basilicò, esimio uomo di legge, reduce da un viaggio in Terra Santa, dona ai padri Olivetani di Santa Maria del Bosco, “un tenimento di case, vigne e giardino di sua proprietà ai margini del quartiere della Kalsa, per l’edificazione di una Chiesa con annesso convento”. Aveva scoperto che quel terreno di sua proprietà si trovava a 60 passi da Porta dei Greci (nella sua prima collocazione cinquecentesca), esattamente come la chiesa dedicata a Nostra Signora dello Spasimo di Gerusalemme, che era a 60 passi dalla Porta Giudicaria (scenario della settima stazione della “Via Crucis” con la seconda caduta di Cristo). Il 21 maggio del 1509 una Bolla di Papa Giulio II autorizzava la donazione del de Basilicò per l’edificazione di una chiesa con “campanile, campana, cimitero, chiostri, refettorio, dormitorio, orti, orticelli e varie officine per la necessità dell’ordine”. Secondo le volontà della testatrice la chiesa doveva essere terminata entro sei anni, e infatti attorno al 1516 il de Basilicò per celebrarla degnamente, commissiona al grande Raffaello da Urbino, un dipinto raffigurante “L’andata al Calvario“, da tutti conosciuto come lo “Spasimo di Sicilia“, e ad Antonello Gagini un magnifico altare marmoreo destinato a incorniciarlo. Il progetto dei Padri Olivetani era grandioso e richiedeva ingenti risorse, cosi che i soli capitali messi a disposizione dal de Basilicò (egli costituì una rendita di cento onze annuali sui propri beni), risultarono insufficienti per portare a termine l’imponente opera edilizia. Così nel maggio del 1509 a Siena l’abate generale dell’ordine di Monte Oliveto, frate Tommaso Pallavicino autorizza il monastero di Santa Maria del Bosco a concedere in enfiteusi l’antica “gancìa” di Santa Barbara, di proprietà dell’ordine, per un canone minimo di cento ducati annui, nell’intento di garantire ulteriore copertura finanziaria al progetto edificatorio del complesso. Anche i terreni donati dal de Basilicò, che all’inizio sembravano sufficienti, risultarono invece incapaci di contenere nei loro confini il grandioso progetto previsto da Padri Olivetani, rendendosi necessaria l’acquisizione di nuovi spazi. Nel marzo del 1517 donna Eleonora del Tocco concede ai monaci alcuni suoi terreni adiacenti all’erigendo monastero che si sommarono ai terreni donati dal Basilicò. Le vicende che riguardano l’edificazione del complesso conventuale dello Spasimo furono molto travagliate: sopraggiunsero delle difficoltà di vario genere che ne allungarono i tempi di esecuzione e ne alterarono il progetto originario. Capomastro della fabbrica di S. Maria dello Spasimo fin dal suo avvio fu Antonio Belguardo, personaggio ad oggi poco noto ma certamente uno dei protagonisti dell’architettura palermitana del primo cinquecento, che si impegnò nella realizzazione degli elementi strutturali principali della chiesa, nella quale i caratteri architettonici rappresentano quasi un unicum nel panorama costruttivo siciliano, per la tipica concezione dell’architettura di gusto gotico-settentrionale, con influssi di importazione iberica che ancora oggi possiamo ammirare. Ma il progetto iniziale, peraltro molto ambizioso, non fu mai portato a termine, lasciando la sontuosa opera incompiuta. Le vicende che riguardano la fabbrica del complesso dello Spasimo sono strettamente connesse con le opere di fortificazione che si realizzarono a Palermo a partire dal 1537, volute dal vicerè don Ferrante Gonzaga per proteggere i punti più sensibili della città. Infatti il progetto della nuova cinta bastionata redatto dall’architetto bergamasco Antonio Ferramolino, prevedeva tra gli altri, la realizzazione di uno dei bastioni appunto nell’area del convento dello Spasimo, la cui realizzazione provocò seri danni all’edificio monastico e cambiò il destino del complesso. Furono abbattuti infatti, parte del campanile della chiesa, i chiostri e le stanze dei monaci che stravolsero la configurazione dell’intera struttura. I danneggiamenti subiti dal convento dello Spasimo erano talmente importanti da indurre i padri a chiedere di essere ricoverati nella vicina chiesa della Magione per potere espletare momentaneamente le loro funzioni, in quanto i monaci inizialmente non avevano intenzione di abbandonare il loro monastero, ma la richiesta non ebbe seguito. Qualche anno dopo il vicerè conte di Castro si interessa per far concedere ai frati la chiesa di S. Maria della Pinta ma anche questa volta senza esito. Tutte le altre soluzioni prospettate dal senato cittadino e dal vicerè non soddisfarono i padri Olivetani, che dopo tante vicissitudini nel 1772 furono costretti ad abbandonare il complesso abbaziale della Kalsa, già di proprietà del senato che lo aveva definitivamente acquistato nel novembre dell’anno precedente, per la somma di 4000 once, e a trasferirsi definitivamente nell’abbazia normanna di Santo Spirito. Successivamente al trasferimento dei padri olivetani tutto il complesso viene utilizzato dal senato per usi profani, e nel 1582 nella chiesa ormai sconsacrata, il vicerè Marcantonio Colonna, vi fece rappresentare l’Aminta di Torquato Tasso divenendo così il primo “teatro pubblico” della città. In seguito alla grande epidemia di peste del 1624 che colpì la città, in mancanza di strutture ospedaliere adeguate, il convento dello Spasimo fu adibito a “lazzaretto”ed ancora a magazzino senatoriale per la conservazione delle riserve cerealicole della città. Dal 1835 divenne ospizio di mendicità e successivamente nel 1855 l’ospedale meretricio che era aggregato all’ospedale grande di palazzo Sclafani viene trasferito nei locali dello Spasimo (ospedale dello Spasimo, sopravvissuto fino al 1985). Alla fine del secondo conflitto mondiale, la chiesa venne utilizzata come deposito di materiale artistico proveniente da palazzi e chiese della città danneggiate dai bombardamenti, poi per anni cadde nell’oblio rimanendo praticamente abbandonata fino al 1988, anno in cui si incominciò un vasto lavoro di restauro e di ripristino dell’intero complesso, che vide restituire alla pubblica fruizione nel 1995, il magnifico complesso abbaziale. Oggi la chiesa con la sua navata a cielo aperto, è un luogo suggestivo adibito a spazio culturale che ospita eventi di vario genere, un’incantevole scenario per manifestazioni teatrali e musicali. La storia di questo meraviglioso monumento è stata sempre legata al famoso dipinto di Raffaello “lo Spasimo di Sicilia“, che ha una storia a dir poco affascinante. L’opera, commissionata al grande pittore urbinate dal De Basilicò nel 1516 per adornare la cappella funeraria che si era riservato nella chiesa, subì nel corso del tempo varie traversie. Secondo quanto ci dice il Vasari, il quadro partì per Palermo via mare, ma a causa di una violenta tempesta che affondò la nave, equipaggio e carico finirono in mare. Si perse tutto tranne il dipinto, chiuso in una cassa bene imballata che la corrente trasportò fino a Genova. Il ritrovamento ebbe grande rilevanza e apparve come un miracolo, alla notizia del ritrovamento i frati dello Spasimo chiesero l’intercessione di Papa Leone X per riavere l’inestimabile dipinto, riuscendo alla fine, a portare l’opera a Palermo. Nel 1661 il vicerè conte Fernando D’Ayala riuscì ad ottenere il dipinto dall’abate Clemente Staropoli a cui concesse privilegi e una rendita annuale (anche se fu pagata solo in parte). Questi ne fece dono al Re filippo IV di Spagna che lo volle collocare nella sua Real Cappella a Madrid adornandolo con preziosi arredi. Oggi se vogliamo ammirarlo dobbiamo andare al museo del Prado di Madrid.
Realizzata su progetto di Giovan Battista Filippo Basile nel 1863, al centro della piazza Marina, fu intitolata all'eroe nazionale Giuseppe Garibaldi proprio per celebrare la recentissima nascita della nazione Italiana. Il giardino ha un perimetro quadrangolare, con le entrate in corrispondenza delle strade principali ed è recintata da una cancellata in ghisa, realizzata dalla Fonderia Oretea su disegno dello stesso Basile, il quale si ispirò ad un bosco artificiale che era stato approntato nel 1538, nella piazza, per lo svolgimento di una caccia. Tra le tante piante esotiche che si trovano all'interno il ficus Magnoloides è sicuramente l'attrazione principale essendo considerato uno dei più vecchi e grandi d'Italia, con un'altezza di 30 metri, una circonferenza del tronco che supera i 21 metri ed una chioma con diametro di 50 metri. Appartiene alla specie dei Ficus macrophylla, come un esemplare presente nell'orto botanico di Palermo, di cui costituisce il simbolo. Nella villa troviamo busti scultorei tra i quali appunto quello di Giuseppe Garibaldi, Rosolino Pilo, Giovanni Corrao, Raffaele De Benedetto, Luigi Tukory e Nicola Bălcescu. Nei primi del secolo furono realizzate una cisterna e una torretta di servizio mentre agli anni Venti risale il padiglione forse adibito a caffè; nel 1930 fu poi realizzato il padiglione di ristoro dai repertori decorativi modernisti. Tra le aiuole irregolari, dalle forme oblunghe e ovali e dai bordi curvilinei, è presente invece un'ampia vasca circolare, una sorta di lago artificiale, in una posizione leggermente eccentrica rispetto all'incrocio delle diagonali. Orari: Tutti i giorni dalle ore 7.30 alle 17.30 (orario invernale); dalle ore 7.30 alle 18.30 (orario estivo). Modalità di ingresso e prezzi: Ingresso gratuito.
83 persone del luogo consigliano
Giardino Garibaldi
SNC Piazza Marina
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Realizzata su progetto di Giovan Battista Filippo Basile nel 1863, al centro della piazza Marina, fu intitolata all'eroe nazionale Giuseppe Garibaldi proprio per celebrare la recentissima nascita della nazione Italiana. Il giardino ha un perimetro quadrangolare, con le entrate in corrispondenza delle strade principali ed è recintata da una cancellata in ghisa, realizzata dalla Fonderia Oretea su disegno dello stesso Basile, il quale si ispirò ad un bosco artificiale che era stato approntato nel 1538, nella piazza, per lo svolgimento di una caccia. Tra le tante piante esotiche che si trovano all'interno il ficus Magnoloides è sicuramente l'attrazione principale essendo considerato uno dei più vecchi e grandi d'Italia, con un'altezza di 30 metri, una circonferenza del tronco che supera i 21 metri ed una chioma con diametro di 50 metri. Appartiene alla specie dei Ficus macrophylla, come un esemplare presente nell'orto botanico di Palermo, di cui costituisce il simbolo. Nella villa troviamo busti scultorei tra i quali appunto quello di Giuseppe Garibaldi, Rosolino Pilo, Giovanni Corrao, Raffaele De Benedetto, Luigi Tukory e Nicola Bălcescu. Nei primi del secolo furono realizzate una cisterna e una torretta di servizio mentre agli anni Venti risale il padiglione forse adibito a caffè; nel 1930 fu poi realizzato il padiglione di ristoro dai repertori decorativi modernisti. Tra le aiuole irregolari, dalle forme oblunghe e ovali e dai bordi curvilinei, è presente invece un'ampia vasca circolare, una sorta di lago artificiale, in una posizione leggermente eccentrica rispetto all'incrocio delle diagonali. Orari: Tutti i giorni dalle ore 7.30 alle 17.30 (orario invernale); dalle ore 7.30 alle 18.30 (orario estivo). Modalità di ingresso e prezzi: Ingresso gratuito.
Mondello è una frazione e località turistica racchiusa tra Monte Pellegrino e Monte Gallo, a pochi chilometri da Palermo. Distaccato dal caos della città, grazie a un polmone verde costituito dal Parco della Favorita, il borgo marinaro è raggiungibile per mezzo dei tanti viali reali alberati o tramite collegamenti secondari, in macchina o in autobus. La zona è rinomata per la grande spiaggia, che rappresenta uno dei lidi più ambiti del palermitano, grazie alle sue numerose ville in stile Liberty, note come migliore espressione dell'Art Nouveau in Italia, e per i siti di interesse storico e naturalistico, tra cui l’accesso alla Riserva Naturale di Capo Gallo. Meta turistica di notevole interesse, nonché famosa location d’alta cucina è lo Stabilimento Balneare ex Charleston, elegante costruzione immersa nell’acqua, progettata dell’architetto Rudolf Stualker, che disegnò un'ampia piattaforma su piloni. Sport, mare, musica e cultura, il golfo di Mondello è sede di Festival e manifestazioni di fama nazionale.Tra i più noti: il "Windsurf World Festival", ribattezzato nel 2001 World Festival on the Beach, evento che raggruppa annualmente varie manifestazioni di sport dal windsurf al beach volley e spettacoli musicali e il "Premio Mondello", nato nel 1975, kermesse letteraria oggi organizzata dalla Fondazione Sicilia insieme al Salone Internazionale del Libro di Torino e che negli anni ha visto vincitori autori come Daniele Del Giudice, Aldo Busi, Edoardo Albinati. Dal 2016, la spiaggia di Mondello ha l'onore di aver avuto attibuito la bandiera verde perchè a misura di bambino. Il caratteristico folclore da spiaggia tra l'odore delle ciambelle fritte zuccherate e i colori delle tipiche panelle e crocchè, unito agli odori di un borgo marinaro unico, fanno di Mondello una località imperdibile.
209 persone del luogo consigliano
Spiaggia di Mondello
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Mondello è una frazione e località turistica racchiusa tra Monte Pellegrino e Monte Gallo, a pochi chilometri da Palermo. Distaccato dal caos della città, grazie a un polmone verde costituito dal Parco della Favorita, il borgo marinaro è raggiungibile per mezzo dei tanti viali reali alberati o tramite collegamenti secondari, in macchina o in autobus. La zona è rinomata per la grande spiaggia, che rappresenta uno dei lidi più ambiti del palermitano, grazie alle sue numerose ville in stile Liberty, note come migliore espressione dell'Art Nouveau in Italia, e per i siti di interesse storico e naturalistico, tra cui l’accesso alla Riserva Naturale di Capo Gallo. Meta turistica di notevole interesse, nonché famosa location d’alta cucina è lo Stabilimento Balneare ex Charleston, elegante costruzione immersa nell’acqua, progettata dell’architetto Rudolf Stualker, che disegnò un'ampia piattaforma su piloni. Sport, mare, musica e cultura, il golfo di Mondello è sede di Festival e manifestazioni di fama nazionale.Tra i più noti: il "Windsurf World Festival", ribattezzato nel 2001 World Festival on the Beach, evento che raggruppa annualmente varie manifestazioni di sport dal windsurf al beach volley e spettacoli musicali e il "Premio Mondello", nato nel 1975, kermesse letteraria oggi organizzata dalla Fondazione Sicilia insieme al Salone Internazionale del Libro di Torino e che negli anni ha visto vincitori autori come Daniele Del Giudice, Aldo Busi, Edoardo Albinati. Dal 2016, la spiaggia di Mondello ha l'onore di aver avuto attibuito la bandiera verde perchè a misura di bambino. Il caratteristico folclore da spiaggia tra l'odore delle ciambelle fritte zuccherate e i colori delle tipiche panelle e crocchè, unito agli odori di un borgo marinaro unico, fanno di Mondello una località imperdibile.
La Riserva Naturale Orientata Capo Gallo, distante appena 12 km dal Teatro Massimo in pieno centro città, è da considerarsi un luogo di conservazione della natura in situ, un serbatoio di biodiversità ed un assortimento di habitat prioritari. L’isolamento geografico dovuto anche alla morfologia estrema di alcuni versanti, la vicinanza o l’intimo contatto con il mare, i substrati calcarei tipici della piattaforma panormide e altre peculiarità, hanno consentito la selezione di micro-climi altamente specializzati ospitanti specie di grandissimo interesse fitogeografico o elevato valore faunistico che rendono la Riserva stessa meta d’interesse scientifico da parte di studiosi di tutto il mondo. Clima mite tipico delle aree costiere del Mediterraneo, paesaggi mirabili, endemismi puntiformi ed esclusivi, in una sola accezione “elevata naturalità a due passi dalla città”, forse è questa la magia della Riserva Naturale Orientata Capo Gallo.
231 persone del luogo consigliano
Capo Gallo Reserve
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La Riserva Naturale Orientata Capo Gallo, distante appena 12 km dal Teatro Massimo in pieno centro città, è da considerarsi un luogo di conservazione della natura in situ, un serbatoio di biodiversità ed un assortimento di habitat prioritari. L’isolamento geografico dovuto anche alla morfologia estrema di alcuni versanti, la vicinanza o l’intimo contatto con il mare, i substrati calcarei tipici della piattaforma panormide e altre peculiarità, hanno consentito la selezione di micro-climi altamente specializzati ospitanti specie di grandissimo interesse fitogeografico o elevato valore faunistico che rendono la Riserva stessa meta d’interesse scientifico da parte di studiosi di tutto il mondo. Clima mite tipico delle aree costiere del Mediterraneo, paesaggi mirabili, endemismi puntiformi ed esclusivi, in una sola accezione “elevata naturalità a due passi dalla città”, forse è questa la magia della Riserva Naturale Orientata Capo Gallo.
Molo trapezoidale

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